Chiedo ai più grandicelli fra i lettori di questo blog: “Ma ve li ricordate, i liquori degli anni ’60 e ’70
del secolo scorso?”. Io allora ero un bambino e rammento che erano custoditi in uno scaffale del mobile del salotto, pronti per essere serviti agli ospiti. Ne ho memoria sia per via delle etichette, sempre molto creative, che oscillavano fra uno stile Art Déco e il modernismo di quegli anni, sia per la forma delle bottiglie, spesso davvero particolare. Per uno della mia generazione, nomi come Liquore Strega, Grappa Fior di Vite, Punt & Mes Carpano, Amaro 18 Isolabella, Vecchia Romagna Etichetta Nera, Ferro-China Bisleri, Fundador e tanti altri, sono ormai mitici. Fra questi nomi, ce n’erano due che m’incuriosivano particolarmente, anche per il colore giallo vivo del contenuto, che venivano consumati esclusivamente in inverno: il Vov e lo Zabov. Il primo era prodotto da un’azienda di Padova, la Pezziol. Il secondo da una di Ferrara, la Moccia. La Pezziol rivendica la primogenitura dell’idea di un liquore a base di uovo. Sarebbe il primo caso al mondo in cui una ricetta industriale “precede” le ricette casalinghe. Però… però…
Il Vov nasce nel 1845. Lo inventa, letteralmente, Gian Battista Pezziol, un pasticciere di Padova il quale non voleva buttare i rossi d’uovo che non utilizzava per i suoi torroni. Il liquore ha un grande successo fin da subito, sia in Italia sia all’estero, viste le sue proprietà “corroboranti”. Gli arciduchi di Vienna gli conferiscono un brevetto e la possibilità di stampare sull’etichetta il loro simbolo: l’Aquila bicipite. E, durante la seconda guerra mondiale, è fornito alle truppe italiane sui vari fronti con il nome, più “maschio”, di VAV2. Vav sta per “Vino Alimento Vigoroso” mentre il nome originale Vov viene dal termine dialettale veneto “vovi”, cioè uova. La ricetta originale del signor Pezziol prevede:
- 800 ml di latte intero
- 800 grammi di zucchero
- 8 tuorli d’uovo
- 200 ml di marsala secco
- 200 ml di alcool a 90°.
Alla ricetta originale, s è usi aggiungere una bacca di vaniglia per rendere il sapore ancora più gradevole.
Preparazione: fate bollire il latte con 400 grammi di zucchero e con la vaniglia. Mescolate per un paio di minuti e poi lasciate intiepidire. Sbattete gli otto tuorli con il resto dello zucchero fino a ottenere una crema spumosa e soffice. Versateci dentro lentamente il latte tiepido, mescolando attentamente. Una volta che il composto si sarà raffreddato, potrete unire marsala e alcool, facendo attenzione a incorporare bene i liquidi. A questo punto, potete versare il Vov in bottiglie di vetro ben chiuse e poi conservare il liquore in frigo o al fresco per, al massimo, otto mesi.
Col Vov, la Pezziol ci fa una fortuna e, nel 1949, azzecca un altro liquore che diventerà mitico negli anni ’60 e ’70: il Cynar. Chi non l’ha bevuto almeno una volta? Chi non ricorda la pubblicità con l’attore Ernesto Calindri che recitava: “Cynar! Contro il logorio della vita moderna”.
La storia dello Zabov (il nome è la crasi di zabaione e uovo) è più recente. Le distillerie Moccia nascono nel 1946 a Ferrara e Luigi Moccia, visto il successo del Vov, decide di entrare in quella fetta di mercato utilizzando una ricetta del padre Mauro che prevedeva l’utilizzo del cognac al posto del marsala. La ricetta è segreta ma sappiamo che tra gli ingredienti utilizzati ci sono il latte fresco, il tuorlo d’uovo, lo zucchero e una miscela di brandy preparata esclusivamente per lo Zabov. Ancora oggi questo liquore ha un buon successo sia in Italia che all’estero.
Ma in tutto ciò, cosa c’entra la Romagna? Come abbiamo scritto all’inizio, la ricetta di liquori all’uovo si sarebbe sviluppata prima industrialmente e poi sarebbe stata replicata dalle casalinghe di tutta Italia. Però, ci sono fonti certe che testimoniano dell’abitudine di imbottigliare questo tipo di liquori già alla fine dell’800. Dove? In Romagna. Qualche anno fa, un ristoratore di San Piero in Bagno ha trovato, dentro a un ricettario stampato nei primi anni del Novecento, un foglio scritto a mano da una donna che conteneva la ricetta del vov “alla romagnola”. Il manoscritto risale alla fine del secolo precedente e descrive un modo di preparare il liquore diverso da quello utilizzato da Gian Battista Pezziol. Ci sono acqua e rum che nella preparazione “industriale” non ci sono e c’è già la vanillina. Segno evidente che l’antica e sconosciuta massaia sanpierana aveva seguito una strada tutta sua per ottenere l’energetico elisir a base d’uovo. Questi erano gli ingredienti: cinque uova, mezzo chilo di zucchero, un quinto di litro di marsala, un quinto di litro di alcol puro, un quinto di litro di acqua, un bicchierino di rum e un grammo di vanillina. Per la preparazione, si dovevano montare i rossi d’uovo con un cucchiaio di zucchero per mezz’ora, aggiungendo zucchero man mano. Poi si dovevano versare nell’acqua prima il marsala, poi la vanillina, il rum e, per ultimo, l’alcol.
Del resto, il vov non nasce solo da un’intuizione industriale. Non sfugge a nessuno che sia “
figlio”
dello zabaione (o zabaglione che dir si voglia). Un dolce super energetico che in Italia si prepara
perlomeno dal Seicento o forse anche da prima. Gli ingredienti sono semplicissimi ma le quantità possono variare a seconda dei luoghi e delle abitudini familiari: 80 grammi di zucchero, 80 grammi di marsala e quattro tuorli d’uovo. La preparazione richiede di mettere i tuorli in una pentola con zucchero e marsala e di metterla a bagnomaria a fuoco lento. Con una frusta bisogna sbattere il composto, aumentando la velocità man mano che questo cresce e si gonfia. Quando la crema lascerà tracce una volta colata a filo dalla frusta, allora lo zabaione sarà pronto. Da consumarsi caldo, tiepido o freddo, magari con biscotti secchi sgranati in superficie.
Insomma, per dirla come i francesi, “tout se tient”. Ovvero: tutto si lega, tutto s’intreccia. Un po’ come nella vita.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.