Continuiamo a raccontare i frutti e i cibi di stagione. Dopo i cachi, i cavoletti di Bruxelles, la melagrana, le noci, il cavolo nero, l’arancia e i datteri, oggi parliamo del mandarino che in tanti pensano sia derivato dall’arancia. Non è così. Anzi, è piuttosto vero il contrario: l’arancia è figlia del mandarino. Spieghiamo con ordine.
Il citrus reticulata blanco (nome scientifico del mandarino e della sua pianta), è uno dei tre agrumi originali del genere citrus, assieme al cedro e al pomelo. Tutti gli altri agrumi derivano da queste tre specie e dai loro incroci. Il mandarino, però, essendo molto più dolce rispetto agli altri due, ha dato vita a un maggior numero di incroci (compresi il limone e il lime). Il mandarancio, ad esempio, è un ibrido fra il mandarino e l’arancia dolce mentre la clementina è il frutto dell’unione di un mandarino e di un’arancia amara.
Perché il mandarino si chiama così? Perché viene dalla Cina, dalla quale arrivò in Portogallo e Spagna nel quindicesimo secolo. I mandarini erano i funzionari dell’impero cinese che portavano un vestito/divisa di color arancio. Si associò il nome del frutto al colore dei vestiti e al nome di questi funzionari. Oggi il mandarino è il secondo agrume più coltivato al mondo dopo l’arancia e cresce su una pianta alta fra i due e i quattro metri. Ha le foglie sottili e la forma un po’ schiacciata in alto e in basso. E’ molto profumato tant’è che le nostre nonne ne buttavano le bucce nel fuoco del camino per profumare l’ambiente. Oggi, in forma di olio essenziale, ha numerosi usi. Uno è l’utilizzo nelle saune per profumare l’ambiente durante un aufguss (una gettata di vapore).
Tra i tipi di mandarino italiani dobbiamo ricordare il Satsuma, di origine giapponese, che viene coltivato soprattutto in Sicilia dove si trovano anche le varietà Paternò e Avana e il mandarino tardivo di Ciaculli che è un presidio slow food. La Cina è ancor oggi il Paese produttore, “re” di questo agrume: ne produce più di diciannove milioni di tonnellate (almeno in periodo pre-covid), seguita a grande distanza dalla Spagna (circa due milioni di tonnellate, dalla Turchia (un milione e 600mila tonnellate) e dal Marocco (un milione e 200mila tonnellate). L’Italia figura al nono posto fra i paesi produttori con poco meno di 700mila tonnellate. Dunque, come sempre, quando si può, è bene privilegiare il prodotto italiano che non ha niente da invidiare a quelli esteri.
In un etto di mandarino senza buccia troviamo 72 calorie. Di queste, il 91% sono carboidrati perlopiù semplici; il
5% proteine e il 4% lipidi. Questi frutti contengono anche tanta acqua e fibre, per cui sono un cibo perfetto in inverno quando si tende a bere di meno. Le fibre poi, come tutti sappiamo, favoriscono il transito intestinale. Insomma, sono un ottimo dopo pasto e una buona merenda sia per i bambini, sia per gli anziani. Comunque, il contenuto più importante del mandarino è la vitamina C: ne contiene 42 milligrammi all’etto, quasi la metà del fabbisogno giornaliero di un uomo. E, per di più, viene assorbita tutta dal corpo visto che non “cuociamo” il mandarino per mangiarlo ma lo mangiamo crudo. La vitamina C, infatti, è termolabile e perde le sue caratteristiche benefiche se si scalda.
Giova sempre ricordare che il consumo di vitamina C è davvero importante, specialmente in inverno per tutte le caratteristiche che le sono proprie. Non da ultimo, aiuta ad assorbire il ferro, cosa molto utile per gli anziani. Stimola la produzione di collagene e alza le difese immunitarie. Il mandarino è anche un tonico per il cervello grazie alle vitamine del gruppo B, alla vitamina A e anche al fosforo che contiene. Gli antiossidanti presenti proteggono il sistema cardiocircolatorio perché combattono il colesterolo Ldl (quello “cattivo”) e riducono i trigliceridi aiutando ad evitare la formazione di placche aterosclerotiche.
In definitiva, come abbiamo anche visto nei precedenti articoli, nel periodo invernale la natura ci regala tanti buoni frutti, ortaggi, e quant’altro per mettere in condizione l’uomo di difendersi al meglio dal freddo e dal gelo. Approfittiamone.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.