Le osterie sono una vera istituzione culinaria. Se ben guidate da chi le gestisce, sono luoghi nei quali si può gustare autentica cucina locale a prezzi più accessibili rispetto ai ristoranti. Offrono un’esperienza autentica e informale, spesso radicata nella tradizione della regione in cui si trovano. Ma quando e perché questo tipo di ristorazione si è sviluppato per come la conosciamo oggi?
Piccola storia delle osterie
Lasciando stare le taverne dell’antica Grecia e di epoca romana (in queste si commerciavano anche prodotti agricoli o artigianali come frumento, cesti, pentole, vetri e gioielli e assomigliavano più a un bazar che a un’osteria per come la intendiamo oggi), la nascita delle “moderne” osterie si deve, in un certo senso, alla rivoluzione francese. Per due motivi. Il primo: è in quel periodo che il ceto borghese si afferma e comincia a muoversi sia per lavoro che per turismo. Dunque ha bisogno di trovare luoghi di ristoro lungo le strade e magari anche vicino a casa. Un’esigenza alla quale possono rispondere (ecco il secondo motivo) numerosissimi cuochi che, finita la monarchia e terminati i privilegi della classe nobiliare, si devono in qualche modo reinventare. Dar da mangiare, per mangiare essi stessi, potremmo dire così.
La figura dell’oste
Il mondo pian piano cambia e anche in Italia la borghesia produttiva inizia a imporre le sue esigenze. Da noi diventa centrale la figura dell’oste, che sta al bancone e gira fra i tavoli a rifornire di vino gli avventori. Ben presto, al vino si accompagnano vari piatti di pronta preparazione: salumi, pane, formaggi. Le osterie aumentano sempre di più di numero anche perché sono sempre di più le attività commerciali che la borghesia crea: mercati, botteghe artigianali, negozi. Dopo la spesa, ci si deve rifocillare prima di tornare a casa (tenete conto che i trasporti erano ben diversi da quelli di oggi).
Le donne in osteria
Già dalla prima metà dell’Ottocento, al vino e ai piatti freddi inizia ad affiancarsi la cucina: gli osti iniziano a proporre minestre, zuppe, trippa, baccalà… Ma, a questo punto, quest’unico uomo non può più rimanere da solo, non riuscirebbe a gestire tutto. Interviene allora la famiglia e l’osteria diventa, appunto, impresa familiare. All’interno di questa, assumono un ruolo sempre più importante le donne, le quali escono dalle cucine di casa per diventare responsabili dei fornelli delle osterie. Succede un po’ dappertutto in Europa. In Francia, addirittura, si fa strada il fenomeno delle Mères Lyonnayses, cuoche professioniste che fin dalla fine del Settecento iniziano a gestire le cucine di osterie e trattorie di Lione, capitale della cucina francese. Queste signore ancor oggi sono ricordate con deferenza come fondatrici della cucina di quella città. Come dicono gli storici francesi dell’enogastronomia: “Lione non avrebbe avuto Paul Bocuse se prima non avesse avuto queste ostesse”. In Italia queste “azdore in trasferta” diventano le depositarie di piatti sinceri, familiari e regionali che ancora oggi possiamo gustare nelle buone osterie del Belpaese.
Le osterie regionali
A questo proposito, quali preparazioni potremmo assaggiare in osterie di diverse regioni italiane? Citiamone alcune. In Lombardia, regione rinomata per la sua cucina sostanziosa e ricca di sapori, potremmo trovare piatti come la polenta taragna, arricchita con formaggi locali come il taleggio; oppure la cassoeula, un guazzetto di maiale e verze. Potremmo azzannare stufati di capriolo, cotti lentamente con spezie e verdure e, nel bresciano, tanti tipi di volatili preparati in vari modi. In Veneto, zona dalla cucina semplice ma saporita, potremmo sbocconcellare le sarde in saor, sardine marinate con cipolla e aceto, servite spesso come antipasto. La polenta e il baccalà mantecato sono altre specialità da non perdere, così come i risotti locali arricchiti con ingredienti come radicchio rosso di Treviso o funghi. Nelle osterie del Friuli, ricco di tradizioni culinarie autentiche, potremmo mangiare il frico, un piatto iconico. Si tratta di una preparazione a base di formaggio (solitamente montasio) fuso insieme a patate e/o cipolle. La miscela viene poi stesa in padella fino a ottenere una crosta croccante. C’è anche la jota, una zuppa rustica a base di fagioli, crauti (cavolo fermentato) e carne affumicata, come la pancetta. E, per finire, brovada e muset: rape rosse fermentate e marinate in salamoia servite con muset, un tipo di salsiccia di maiale. E in Romagna? Certamente potremmo trovare la piadina romagnola declinata nelle sue diverse versioni ma anche i cassoni, che utilizzano lo stesso impasto della piada e dentro vengono riempiti con formaggio squacquerone oppure con patate, zucca o vari tipi erbe, ecc. Per quel che riguarda la pasta, certamente gli strozzapreti al ragù fatti a mano o dei cappelletti in brodo. Fermiamoci qui.
In conclusione…
Come si può comprendere, le osterie in Italia rappresentano una finestra autentica sulla tradizione culinaria delle varie regioni del Paese, purché siano condotte con professionalità. Offrono un’esperienza gastronomica senza fronzoli, dove il valore è posto sulla qualità degli ingredienti e sulla passione per la cucina locale. I piatti poveri che vengono serviti non sono solo economici, ma spesso rappresentano il meglio della cucina popolare italiana e celebrano la ricchezza dei sapori e delle tradizioni tramandati nel tempo.
In copertina, “In un’osteria romana”. E’ una pittura di genere del 1866 del pittore danese Carl Bloch. Il dipinto fu acquisito dallo Statens Museum for Kunst nel 1935. L’immagine è tratta da commons.wikimedia.org.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.