Per una volta non parliamo di ricette, cibo e cucina per affrontare la figura chiave della famiglia tradizionale contadina emiliano-romagnola: l’azdora (o arzdora). Chi era e cosa faceva l’azdora? Era la colonna portante della casa; la donna sulla quale tutti facevano affidamento per la soluzione dei problemi e non solo. Era, spesso, quella che determinava le fortune della casa e dell’azdor (o arzdor), che poteva essere il marito ma anche un altro componente della famiglia.
Quando parliamo di famiglia tradizionale contadina, dalle nostre parti abbiamo in testa (e, spesso, nel cuore…), un modello di famiglia numerosa, allargata a nonni, fratelli, nuore, figli e nipoti, i quali vivevano tutti in uno stesso casolare, fino a che qualche fratello o figlio non partiva con la moglie in cerca di fortuna come mezzadro presso un altro proprietario. L’azdor, infatti, altri non era che il contadino il quale aveva firmato un contratto di mezzadria con un proprietario terriero. La mezzadria, (vocabolo proveniente dal tardo latino il cui significato è: “Colui che divide a metà“) era un contratto agrario d’associazione con il quale un proprietario di terreni (chiamato concedente) e un coltivatore (detto mezzadro), si dividevano, normalmente a metà, i prodotti e gli utili di un podere. Il comando dell’azienda spettava al concedente che si affidava alle capacità del coltivatore per far fruttare al massimo i terreni e gli animali. Nel contratto di mezzadria, il mezzadro assumeva degli obblighi anche per la sua famiglia (la cosiddetta famiglia colonica). Perciò, podere, famiglia, casa e proprietà costituivano una struttura armonica e indivisibile con obblighi, diritti e doveri per le parti contraenti. A guidare la ripartizione del profitto era, appunto il principio del “fare a metà”. Fu un tipo di contratto che ebbe buoni risultati per l’agricoltura italiana, in generale dove esistevano terreni molto produttivi e con poca popolazione. Funzionò molto bene in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria. La legge numero 756 del 15 settembre 1964, mise fine a questo tipo di contratto (tranne quelli in essere), vietandone la stipula e promuovendo, di fatto, la trasformazione del mezzadro in coltivatore diretto, in affitto sulla proprietà altrui.
Del resto, i termini azdor e azdora, hanno il significato di “reggitore” e “reggitrice” (dal verbo latino regere che significa “condurre”) e si ritrovano, più o meno simili, in tutta l’Emilia-Romagna. Ad esempio, si dice rezdora nel parmense e arzdoura nelle campagne del bolognese. Ma quali erano gli ambiti d’intervento dell’azdor e, soprattutto, dell’azdora? Per descriverli al meglio ci viene in soccorso un libro di Grazia Bravetti Magnoni, intitolato: “La Cucina dell’Arzdora- dal lunedì al sabato” edito da Panozzo Editore nel 1997. Da quest’opera prendiamo un ampio stralcio che descrive benissimo i compiti di questa mitica figura della tradizione.
Scrive la Bravetti Magnoni: “… l’Arzdor… era il reggitore di tutto, cioè di tutto quello che era nel podere: il terreno e le sue colture, e poi i dintorni della casa, dai pagliai al pozzo, dall’aia alla capanna degli attrezzi, dal portico alla stalla, fino all’interno della casa con ciò che vi gravitava intorno, dagli animali alle persone. Di tutto, come di tutti, dunque, lui era il signore indiscusso. Da una sola persona dipendeva, dal padrone, che era il vero proprietario del podere… A fianco dell’Arzdor, ma già in un gradino appena più in basso, era l’Arzdora, la reggitrice, che poteva essere la moglie dell’Arzdor: Se la famiglia era molto numerosa poteva darsi che l’Arzdora fosse la moglie di un fratello dell’Arzdor, cioè una cognata, che così vi sarebbero state meno parzialità, favoritismi, gelosie, essendovi invece imposta una più facile armonia nella giusta divisione dei ruoli… A lei toccava lavorare al telaio come al dipanatoio, impegnarsi nei rapidi rammendi, come ai grossi bucati e alle stirature frettolose. Poi doveva passare dal pollaio ai conigli, all’attenta ricerca delle erbe buone da poter vendere al mercato, ma soprattutto da cuocere per il pranzo serale, che, infatti, oltre a tutto il resto, il suo impegno costante e continuo era quello di cuoca per tutti nella famiglia”.
“A lei toccava organizzare la colazione della mattina, il pranzo, poi la “brenda” e, infine, la cena, quando ancora c’era luce nei campi durante le lunghe serate tra la primavera e l’estate. A lei toccava, dopo la colazione, preparare l’unico pranzo, sempre e solo serale durante le lunghe invernate, per non accennare alla ben diversa tavola delle domeniche e delle diverse feste. Inoltre, nei giorni stabiliti, doveva, sempre in fretta, inventare qualcosa da offrire, accanto al vino, a chi, dei vicini o degli sconosciuti, arrivava per la veglia nella stalla. Questi, tra un figlio e l’altro da badare, erano dunque alcuni dei continui impegni dell’Arzdora che, solitamente, tra i tanti amava di più sentirsi, oltre che ape operosa, cuoca regina”.
Che il regno vero dell’azdora fossero la casa e la cucina è anche testimoniato da un antico detto il quale recita: “cvand che l’arzdora la va in campagna, l’è piò quel ch’la perd ch’n’è quel ch’la guadagna” (quando la reggitrice va in campagna, è più quello che perde di quello che guadagna). Ma attenzione! La bravura delle antiche azdore per le cose di casa, si è evoluta nel corso del tempo e ha spesso trasformato le donne romagnole non in casalinghe rinchiuse nel loro piccolo mondo ma, al contrario, in capaci imprenditrici in tanti ambiti diversi. Partendo dalle cucine delle case coloniche e dai vecchi telai, le azdore romagnole di oggi guidano alberghi, grandi magazzini, negozi, ristoranti, aziende vitivinicole e artigiane, quando non vere e proprie industrie. Dalle loro “nonne azdore” hanno preso le capacità e l’autorevolezza. E ne hanno fatto la loro moderna forza.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.