Giusto un anno fa pubblicammo sul nostro blog un articolo sul panettone, il “re” della tavola durante le feste natalizie. Oggi vogliamo parlare di alcuni dolci tipici regionali che non hanno avuto la fortuna nazionale del “panetun” milanese ma che sono un punto fermo irrinunciabile sulle tavole delle feste di molte famiglie in alcune città italiane. Va detto che praticamente ogni Regione, se non ogni grande città, ha un suo dolce natalizio. Non possiamo raccontarli tutti in una volta ma ci ripromettiamo di tornare a parlare di alcuni di questi il prossimo anno, sempre in vista del Natale.
Iniziamo dal pandolce genovese. È un dolce di forma circolare, ne esistono due versioni “alto” e “basso”. Storicamente la
prima versione è stata quella “alta”, lievitata naturalmente, più morbida e con tempi di preparazione molto lunghi, mentre solo alla fine del 1800, con l’introduzione di lieviti chimici, è nata la versione “bassa”, più frollata e molto più veloce da preparare. È di origine molto antica: fin dai tempi degli Egizi e dei Greci ci sono testimonianze di dolci preparati con cereali, miele e spezie che venivano offerti agli dei. Altre versioni riportano un’origine persiana. Rimane il fatto che accanto ai liguri pinoli, nel pandolce ci sono anche l’esotico cedro candito e l’acqua di fiori d’arancio, chiari richiami alle terre d’Oriente con cui i mercanti genovesi avevano numerosi contatti commerciali.
In passato si preparava per Natale usando solo farina, olio, miele, uva passa, acqua di fiori d’arancio, semi di anice e lievito naturale; era, infatti, un dolce piuttosto povero. Attualmente sono state aggiunte le scorze di arancia; il burro ha preso il posto dell’olio e lo zucchero quello del miele. La tradizione voleva che fosse il capofamiglia a Natale, terminato il pranzo, a tagliare solennemente il pandolce. La prima fetta era destinata alla mamma “per l’assaggio”, poi una fetta era messa da parte e donata al primo viandante che bussava alla porta, un’altra avvolta in un tovagliolo, per essere mangiata il 3 febbraio, giorno di San Biagio protettore della gola, per allontanare influenze e mal di gola. Finalmente, dopo questo tradizionale rituale, si distribuiva il pandolce anche a tutti gli altri commensali. Questo l’elenco completo degli ingredienti (tenete sempre conto che ogni pasticcere; ogni famiglia ha un suo “modo” o “ingrediente segreto in più” da aggiungere). Ingredienti: farina, burro, anice, lievito, uva sultanina, zibibbo, zucca candita, cedro candito, pinoli, acqua di fiori d’arancio, zucchero, semi di finocchio, scorze d’arancia.
La ricetta del certosino di Bologna pare risalga al medioevo quando la produzione del “pan speziale” (questo il suo nome antico) era affidata ai farmacisti – conosciuti, appunto, come “speziali”– che nelle loro botteghe, oltre a vendere medicinali, erbe, droghe e spezie, si cimentavano anche nell’arte della preparazione di dolci. Altri fanno derivare l’etimologia del nome alla forma dialettale panspzièl, che significa “pane speciale” per via della ricchezza degli ingredienti utilizzati nella ricetta.
Dopo i “farmacisti”, sono stati i monaci della Certosa di Bologna a realizzare questo particolarissimo dolce, in particolar modo in occasione del Natale. Ecco perché poi divenne noto col nome di “certosino”. Oggi è una tradizione così fortemente radicata nella cultura bolognese che durante il periodo dell’Avvento, i fornai e le pasticcerie della città si dedicano alla produzione di questo dolce sprigionando profumi e colori e i bolognesi hanno l’usanza di regalarne uno ad amici o a parenti come fosse un ricco dono, proprio come accadeva un tempo. Alcuni documenti storici testimoniano come nel 1740 i monaci avessero realizzato un certosino di enormi dimensioni e l’avessero inviato a papa Benedetto XIV.
Si presenta con una forma rotonda e abbastanza schiacciata, e ha un colore piuttosto scuro per via del cioccolato fondente utilizzato nella ricetta. Oltre a questo, gli altri ingredienti sono: mandorle, pinoli, miele, mostarda bolognese, cannella e un mix di frutta secca e candita che vanno ad arricchire un impasto a base di farina di frumento. La particolarità di questo dolce sta anche nella sua consistenza e nella sua presentazione: non è soffice come torta, anzi, è piuttosto compatto e asciutto, e la superficie è decorata sempre con frutta secca e canditi che danno un tocco di colore.
Il pangiallo romano è un dolce che ha la sua origine nell’antica Roma e più precisamente durante l’era imperiale. Era, infatti,
un’usanza di quei tempi distribuire questi dolci dorati, durante la festa del solstizio d’inverno (Sol Invictus), in modo da favorire il ritorno del sole. Il tipico pangiallo romano ha subito numerose trasformazioni durante i secoli a causa dell’espansione dei confini territoriali e dell’incremento nella comunicazione tra le varie regioni italiane. Tradizionalmente veniva ottenuto tramite l’impasto di frutta secca, miele e cedro candito che veniva in seguito sottoposto a cottura e ricoperto da uno strato di pastella d’uovo. Questi gli ingredienti: miele, 200 grammi di farina, 200 grammi di mandorle, 200 grammi di noci, 200 grammi di pinoli, 300 grammi di uva passa, 100 grammi di cedro candito, 200 grammi di fichi, 200 grammi di nocciole, 100 grammi di cioccolato fondente a pezzetti. Si deve amalgamare il tutto con farina e spennellare con la parte rossa dell’uovo, dopodiché basta mettere per trenta minuti in forno e il gioco è fatto.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.