La Romagna non è un territorio ben definito dalla carta geografica e va ben oltre le provincie di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Molti hanno provato a tracciare i confini fisici della Romagna a cominciare da Dante Alighieri che la comprese “tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno” (Purgatorio XIV, 92).
La delimitazione della Romagna è tracciata in modo più deciso, anche se impalpabile da altri aspetti culturali come il dialetto, il carattere della gente e la cucina. Tenendo conto di questi valori, entrano in Romagna zone del Montefeltro, alcune recentemente confluite nelle provincia di Rimini, il pesarese fino al promontorio di Focara, la provincia di Firenze al di qua del crinale appenninico e il circondario di Imola.
Tutto questo per definire l’identità di una terra che meriterebbe il titolo di regione per tradizioni e storia totalmente slegate dalla vicina Emilia.
Queste differenze culturali si manifestano ovviamente anche nella cucina; in Emilia si ha una cucina riconosciuta per territorio legato alla città: la cucina bolognese, la cucina modenese ecc. Oppure è la lavorazione della carne di maiale a dare un connotato per città: lo zampone di Modena, la mortadella di Bologna, i salumi e il prosciutto di Parma.
In Romagna esiste solo una cucina che caratterizza tutto il territorio.
Un’altra differenza che la distingue da quella emiliana sta nell’uso del ripieno di formaggi nei cappelletti, mentre i tortellini hanno il ripieno di carne.
Troviamo ancora grandi differenze nei vini; mentre quelli romagnoli sono fermi da abbinare alle minestre, l’essenza della cucina romagnola, quelli emiliani sono frizzanti e si abbinano alle carni, il fulcro di quella cucina.
Ancora il vino ci dà una mano per delineare i confini romagnoli e secondo la consuetudine del viandante che va da Bologna verso Imola lungo la via Emilia, basta che si fermi ad ogni borgata e chieda da bere; finché riceve acqua, è ancora in Emilia, ma quando cominciano ad offrirgli il vino significa che ha varcato il confine ed è giunto in Romagna. Da lì in poi per il chiedere da bere si intende ricevere il vino,che viene appunto chiamato in alcune parti della Romagna: il bere, e’ bé.
Questa consuetudine è maturata sia dal senso di ospitalità delle genti romagnole che dalla cattiva qualità dell’acqua dei secoli passati: da qui la necessità di offrire del vino invece dell’acqua.
Le diversità che sono espresse dalle tantissime rocche e torri che costellano il territorio romagnolo e ne hanno delineato una storia turbolenta. Le rocche sui cocuzzoli della Val Marecchia, le altre della piana da Rimini fino ad Imola ci ricordano scontri di fazioni e di piccole signorie, o di grandi e illuminate come Malatesta e Montefeltro, gli Ordelaffi e i Da Polenta, le lotte dei guelfi e dei ghibellini alla guida dei grandi capitani di ventura che ha prodotto la Romagna.
E la fiera avversità all’ordine precostituito, per secoli rappresentato dallo Stato Pontificio, insita nel carattere individualista e nella forte considerazione di sé che corre nelle vene dei romagnoli, forgia degli spiriti ribelli, ma allo stesso tempo socievoli e pronti a far gruppo.
Ed ecco come ce la descrive il poeta Tonino Guerra : “La Romagna non è una cosa unica; c’è la Romagna bagnata dal mare e c’è la Romagna a maggio fiorita, e quindi le colline. E ha delle montagne grandi che da lontano diventano trasparenti e da lassù puoi vedere il mare che è una riga lunga e blu”.
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.