Provate a chiedere alle persone che conoscete se sanno da dove proviene e cos’è il topinambur. La maggior parte di loro vi fisserà con lo sguardo imbambolato, stile Fantozzi di fronte al Megapresidente Galattico, Gran. Cav. Lup. Mann. Francesco Maria Barambani, provando, magari, a inventarsi qualche cosa farfugliando: “Chiamasi topinambur…”. Proprio come l’imbarazzatissimo e indimenticabile impiegato di Paolo Villaggio. In effetti, non si può dire che il topinambur sia stata una radice molto utilizzata fino a qualche anno fa, anche se ora sta vivendo una certa notorietà e nei secoli passati era, addirittura, preferito alla patata. Raccontiamo tutto con un po’ di ordine.
Molti pensano che il topimabur sia un bulbo originario del centro o del sud dell’America. Non è così. L’equivoco nasce dal primo arrivo di questo tubero in terra europea. Una nave commerciale del diciassettesimo secolo sbarcò in Francia. A bordo, fra le varie mercanzie, c’erano anche le radici di questa pianta ma anche degli uomini della tribù amazzonica dei Tupinamba. I francesi credettero che bulbo e indios protobrasiliani provenissero dalla stessa terra e per questo chiamarono la radice “topinamboux” e, in seguito “topinambour”. In realtà, il topinambur proveniva dal Canada.
A scoprirlo fu un esploratore francese, Samuel de Champlain a metà del milleseicento. Era utilizzato dalle tribù indiane del Nordamerica che lo coltivavano da sempre. Ebbe subito grande fortuna. Fu paragonato fin da subito al carciofo, in quanto a sapore. Ma era di più facile utilizzo e, rispetto alla patata, che pure era arrivata in Europa qualche tempo prima a seguito delle conquiste spagnole in terra incas, si faceva preferire perché non aveva controindicazioni. In quei tempi, infatti, non si aveva chiaro come cucinare la patata e molte persone, soprattutto fra i più poveri, ne mangiavano le foglie e i frutti velenosi (contengono solanina, un alcaloide glicosidico tossico). Il risultato era che più di qualcuno ci rimetteva la vita e la patata faticava a imporsi come cibo di tutti i giorni.
Invece, il topinambur, non aveva controindicazioni di sorta e presto divenne usuale sulle tavole di tutta Europa, anche perché attecchiva senza difficoltà, era facile da coltivare e da cucinare. Costava poco e per molti conventi di religiosi e religiose dell’epoca era una specie di “pane dei poveri” da poter elargire ai più derelitti. La fortuna del topinambur durò fino a metà del millesettecento quando ci vollero un agronomo e, addirittura un re, per spodestarlo in favore della patata.
La storia è presto detta ed è molto curiosa: vale la pena di raccontarla. Durante la guerra dei “Sette Anni” che si combatté fra tutte le maggiori potenze europee e rispettivi alleati dal 1756 al 1763, un agronomo francese, Antoine-Augustin Parmentier fu fatto prigioniero e nutrito dai prussiani “a patate”. Queste, fino ad allora, erano praticamente usate solo come cibo per militari e sempre molto limitatamente. Parmentier, durante la prigionia, ne capì l’utilizzo corretto e, tornato in patria, propose la patata al re Luigi XVI come “pane naturale”, che non abbisognava di mugnai e fornai. Il re si convinse da subito della bontà dell’idea ed emanò un editto che obbligava i nobili a far coltivare dai propri contadini le “pommes de terre”. Ma, come detto, il volgo non guardava con simpatia questa radice perché, se utilizzata scorrettamente, risultava velenosa. L’iniziativa non ebbe successo. Luigi XVI, allora, mise in atto un’autentica furbata. Iniziò lui stesso a far coltivare patate in un terreno a Campo di Marte, a Parigi, ordinando a soldati armati di guardarlo a vista. Fece anche spargere la voce che in quell’appezzamento si trovavano patate di qualità eccelsa, mai gustata prima. Non era vero, ma la diceria fece il suo corso, in diversi si avventurarono nel campo del re a rubare quanti più tuberi possibili (probabilmente le guardie chiudevano un occhio se non due) e in breve tempo le patate divennero popolarissime come Luigi sperava tant’è che nel 1789, durante la Rivoluzione francese, avevano già completamente soppiantato il topinambur nelle cucine francesi e, di lì a poco, anche in quelle di tutto il resto d’Europa. A Luigi andò peggio che al topinambur: nel 1792 finì, ahilui, ghigliottinato da quello stesso popolo al quale aveva fatto scoprire la patata.
Oggi il topimabur sta scalando di nuovo le vette della popolarità. Lo aiutano, in questo, le sue caratteristiche. E’ un alimento ipocalorico (30 kilocalorie per 100 grammi, meno della patata); ha un’azione probiotica (sviluppa ciò batteri “buoni” come bifido batteri e lattobacilli); contiene proteine e sali minerali fra cui potassio (più di una banana), magnesio, calcio e fosforo; è ricco di vitamine del gruppo B (utili per il sistema immunitario) e vitamina H che facilita il metabolismo. E’ un alimento che aiuta a ridurre i valori di colesterolo, a regolarizzare l’attività intestinale, a stabilizzare i valori del glucosio nel sangue (glicemia) e dell’acido urico. Il lactobacillus che contiene lo rende utile alle donne in allattamento, è un buon energetico e dunque è adatto nell’alimentazione degli anziani, dei convalescenti e dei bambini.
Queste qualità l’hanno fatto preferire da molti chef stellati in tutto il mondo, Italia compresa, e oggi sta tornando a essere un alimento conosciuto, quasi “di moda” perché si trova in tante ricette che vogliono avere un tocco di esotismo non sfacciato. Qui di seguito vi proponiamo due ricette molto semplici con il topinambur e, poiché la stagione giusta per gustarlo in tutta la sua fragranza è proprio questa (da fine estate a inizio autunno), vi suggeriamo di cucinarlo seduta stante. Oh! Non vorrete mica fare la fine di Luigi XVI?
Topinambur gratinati
Ingredienti
Un chilo di topinambur
Un porro
Tre cipolle di dimensioni medie
Pangrattato
Timo
Olio extravergine di oliva
Sale.
Preparazione
Dopo averli lavati, lessate i topinambur in acqua bollente. A parte tritate finemente porro e cipolle e passatele in poco olio e sale. Uniteci i topinambur lessati dopo averli tagliati a fettine. Passate il tutto in una pirofila da forno e aromatizzate con il timo, spolverate con il pangrattato e condite con un filo d’olio. Fate gratinare al forno per venti minuti a circa 200 gradi.
Tagliatelle con topinambur
Ingredienti
Un chilo di topinambur
350 grammi di tagliatelle
tre cipolle di dimensioni medie
sale
pepe
olio extravergine di oliva
Preparazione
Tritate finemente la cipolla e fatela appassire in un po’ d’olio e sale. Tagliate il topinambur a cubetti piccoli e uniteli alla cipolla quando questa si sarà ammorbidita. Proseguite la cottura aggiustando di pepe e sale se necessario. A parte cuocete le tagliatelle e conditele con questo sughetto completando il tutto con un filo di olio a crudo.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.