Le patate al forno (volendo anche ripiene), le patatine fritte, quelle arrosto e poi gli gnocchi di patate, il purè di patate, il gateau, le polpette ripiene al formaggio fuso, la frittata di patate e cipolla, il millefoglie, la parmigiana di patate, il soufflé… e poi ancora sulla pizza, con i carciofi, in insalata… potremmo continuare per ore a raccontarvi gli innumerevoli utilizzi della patata in cucina. E ci siamo soffermati solo su ricette e abitudini del nostro Paese, senza esplorare le cucine di nazioni che, prima di noi, hanno trovato nella patata un elemento essenziale delle loro abitudini alimentari. Allora dovremmo affrontare la sheperd’s pie inglese, i cepelinai lituani, il rosti svizzero, le patate alla Hasselback svedesi… fino alle tavole delle famiglie irlandesi, sulle quali la patata, bollita o arrosto, accompagna praticamente tutti i secondi piatti della loro tradizione. E abbiamo lasciato indietro Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Russia, Usa…
Questo per dirvi, cari lettori, che in tutto il mondo non esiste forse un elemento di madre terra più utilizzato in cucina di questo tubero, la cui fortuna è davvero globale. Pensate che è la specie vegetale più coltivata dopo i cereali (frumento, riso e mais) e per questo motivo rientra nell’insieme di colture indicato a livello internazionale come “staple foods”, cibi di primaria necessità. Secondo gli ultimi dati della Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite che combatte la fame nel mondo, il maggior Paese coltivatore è la Cina con più di 96 milioni di tonnellate. Il “Regno di Mezzo” (è questa la traduzione letterale della parola “Cina”), è seguito a distanza dall’India (46 milioni), dalla Russia (31), dall’Ucraina (23) e dagli Stati Uniti (20). In questa classifica l’Italia si piazza trentanovesima con 1,5 milioni di tonnellate. Eppure il nostro tubero non ha sempre avuto così tanta notorietà.
In parte, abbiamo parlato di quest’alimento quando il blog ha avuto il piacere di intrattenervi sul topinambur. Oggi, andiamo più a fondo e vi
diciamo che a portare la patata in Europa sono stati, nel Sedicesimo secolo, i conquistadores spagnoli guidati da Francisco Pizarro, i quali ne appresero l’esistenza dagli Inca peruviani che la coltivavano da tempi immemori. Una tradizione che non è andata persa: oggi, in quel Paese andino, se ne conoscono più di tremila tipi diversi! Approdata in Europa a seguito degli eserciti iberici, non ebbe subito la fortuna culinaria che ha oggi, anzi… Dapprima fu utilizzata come cibo solo per animali. Poi, ebbe bisogno di tempo per “acclimatarsi” in Europa, un ambiente naturale diverso rispetto al paese sudamericano d’origine. Anche l’ignoranza fece la sua parte. Ci sono documenti di erboristi del tempo, giunti fino a noi, sui quali si trova scritto che la patata poteva portare la lebbra. Secondo alcuni religiosi, non essendo mai citata nella Bibbia, doveva essere proibito cibarsene. E, già che cresceva sottoterra fu, a volte, associata alla stregoneria.
La patata cominciò a imporsi verso la metà del Settecento, quando la popolazione europea iniziò a crescere e con essa aumentò anche la necessità di cibo, rendendo necessarie coltivazioni come, appunto, la patata e il mais, le quali avevano un rendimento maggiore rispetto ai cereali. Gli studiosi dell’epoca si accorsero che il nostro tubero forniva una quantità di calorie superiore al frumento, alla segale e all’avena a parità di superficie coltivata e aveva anche tempi di maturazione più brevi. Una spinta forte alla diffusione di questo dono della terra avvenne anche per le numerose guerre, sia di confine, sia “mondiali”, che si combattevano fra i vari regni del tempo. In questo senso, come abbiamo già visto disquisendo sul topinambur, fu
importantissima la guerra dei Sette Anni (1756-1763) e, relativamente a questa, la prigionia dell’agronomo francese Antoine Augustine Parmentier il quale, nella cella gentilmente concessagli dai prussiani, sfamato a patate, cominciò a capirne l’utilità. Tanto da convincere, una volta tornato libero, il re di Francia Luigi XVI a compiere grandi sforzi per diffonderne la coltivazione e l’utilizzo alimentare e culinario. Fu così che in poco tempo la patata divenne un alimento fondamentale in gran parte dell’Europa. Prima sulle tavole più povere, per poi apparire nei libri di ricette già nel Diciottesimo secolo. Segno che aveva conquistato anche i palati più raffinati.
Esistono quattro tipi di patata che si trovano normalmente in commercio: a pasta gialla, dalla polpa compatta, deriva il colore dalla presenza di caroteni. Ottima per cucinare le patatine fritte ma anche adatta per le insalate e le cotture in forno. A pasta bianca, dalla polpa farinosa, adatta per i purè, nelle crocchette o negli gnocchi. La novella che ha la buccia sottile e viene raccolta quando la maturazione non è completa. E’ a breve conservazione e andrebbe bollita. A buccia rossa e pasta gialla, caratterizzata da polpa soda che la rende indicata per le cotture intense quali cartoccio, forno e frittura.
Prima abbiamo accennato ad alcuni valori nutrizionali. Da questo punto di vista le patate contengono molti carboidrati (circa 26 grammi in un tubero di 150 grammi) presenti sotto forma di amidi (quindi sono da escludere in una dieta). In quei 150 grammi, altri 27 sono di vitamina C (45% della dose giornaliera raccomandata), 620 mg (milligrammi) sono di potassio (18% della dose giornaliera raccomandata), 0,2 mg di vitamina B5 (10% della dose giornaliera raccomandata) e si troveranno tracce di altri composti chimici organici quali magnesio, fosforo, ferro e zinco. Le patate sono, assieme alle cipolle e, a seconda della natura del terreno in cui sono cresciute, l’alimento con le quantità più significative di selenio e litio. Infine il contenuto di fibre di una patata con buccia è pari al contenuto di fibre del pane, della pasta e dei cereali. Hanno un elevato indice glicemico e, quindi, non sono adatte per i diabetici.
Per quel che riguarda le ricette, come abbiamo scritto all’inizio, ce n’è da sbizzarrirsi. Alcune le potete leggere e, magari, provare cliccando sui link attivi nel primo paragrafo di questo articolo.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.