E’ tempo di vendemmia. Allora è anche il momento di raccontare una storia che forse non tutti sanno e che vale la pena di conoscere. E cioè che in Europa esistono pochissime coltivazioni di viti a “piede franco”. Cosa significa questo termine? E perché sono poche? La nostra storia parte nell’Ottocento e, più precisamente, dal 1863, nella Linguadoca, in Francia…
In questa regione tra la Provenza e i Pirenei, come nel resto d’Europa, si coltivava la Vitis Vinifera, la pianta
più diffusa nel mondo per la produzione di vino. Fu in quell’anno che gli agricoltori/vignaioli di un piccolo borgo non molto distante da Nimes ebbero un problema bello grosso al loro raccolto. Il paesino si chiamava Pujat. Cominciò dapprima in un vigneto per poi espandersi a tutti gli altri: le foglie delle viti s’ingiallirono improvvisamente, diventarono rosse e caddero. La malattia si estese subito a tutte le vigne del paese e la produzione crollò. L’anno dopo, nessuna pianta diede frutti: erano morte. I coltivatori, allora, dissotterrarono le viti per sostituirle e si accorsero che le radici delle piante erano marce e annerite. Purtroppo questa devastazione non si fermò a Pujat. Rapidamente le viti dei borghi vicini furono attaccate da questa malattia e presto lo furono tutte quelle della Francia e poi dell’Europa intera. Nessuno Stato riusciva più a produrre vino: Francia, Italia, Spagna, Germania, fino alla Turchia… tutta la produzione si era quasi azzerata. Ma cosa diavolo era successo? Com’era stato possibile tutto ciò?
Era accaduto che a Pujat erano arrivate alcune viti americane, importate direttamente da quelli che da pochi decenni erano diventati gli Stati uniti d’America. Queste viti avevano accidentalmente trasportato con sé un insetto microscopico originario di quei territori, chiamato Fillossera. Quest’animaletto “killer” si nutre delle radici delle viti, uccidendole. Solo che, mentre le viti americane, nel corso dei millenni, avevano sviluppato una sorta di resistenza agli attacchi di questo afide, risultandone immuni, le viti europee non lo conoscevano e dunque erano totalmente disarmate. Per questo fu una strage. Gran parte dei vitigni furono distrutti e la produzione fu decimata per almeno trent’anni. In pratica, circa 150 anni fa, quello che poi è diventato uno dei settori di esportazione più forti del nostro Paese, come di altri Paesi europei, ha rischiato di scomparire del tutto.
In soccorso della viticultura europea arrivò la scienza nelle forme della botanica e dell’agronomia. Qualche studioso, dopo un paio d’anni di disastri totali, ebbe l’intuizione di innestare le viti europee sopravvissute sulle radici delle viti americane che erano immuni alla Fillossera. L’esperimento funzionò: le viti europee in breve tempo diventarono immuni all’afide assassino mantenendo le caratteristiche peculiarità di ogni vitigno. Questa tecnica risollevò le sorti della viticultura europea e questa piaga scomparve pressoché totalmente tant’è che oggi la Fillossera viene considerata un insetto pressoché innocuo, il cui interesse è ormai relegato in ambiti storici, culturali e biologici. Come la vite americana aveva rischiato di distruggere quella europea, così finì per salvarla.
Ma non tutti i vitigni europei crollarono di fronte all’attacco della Fillossera. Alcuni resistettero e sono proprio quelli che oggi vengono chiamati “a piede franco”, cioè non innestati dalle radici “americane”. Si trattava, perlopiù, di coltivazioni poste su terreni sabbiosi. I terreni ad elevato tenore in sabbia rappresentano, infatti, un ostacolo insormontabile alla propagazione delle infestazioni perché le larve delle Fillossere non riescono a muoversi in questo substrato grossolano e incoerente e lo abbandonano oppure muoiono.
Così, oggi sappiamo che ci sono pochi vitigni “a piede franco”, non innestati e dunque rimasti come
anticamente era la Vitis Vinifera. Quali sono? Che vini ci regalano? Un paio sono prodotti anche in Romagna nelle aree di Ravenna e Forlì con il vitigno Fortana (la Doc Bosco Eliceo); in Sardegna ci sono la Vernaccia di Oristano, la Malvasia di Bosa, il Carignano e il Cannonau. Anche altri fattori impediscono a questo malvagio afide di proliferare: i terreni vulcanici attorno all’Etna, ad esempio, danno dei buoni rossi da un vitigno autoctono non innestato come il Nerello Mascalese. Inoltre, anche l’altitudine impedisce alla Fillossera di farsi avanti: in Valle d’Aosta esistono vigneti non innestati, in particolare il Prié Blanc dal quale si ottiene il Blanc de Morgex. Poi, dal 2005, nella zona di Arquata del Tronto, nelle Marche, si è recuperato un cultivar di vino bianco Pecorino. Per finire, va detto che sono pochissimi i Paesi o territori al mondo dove esistano coltivazioni di viti esclusivamente a piede franco. Due di questi sono il Cile (dove i vigneti sorgono su aree molto protette) e le Canarie (isole vulcaniche). Qui la Fillossera non ha mai attecchito.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.