In questa rubrica abbiamo raccontato le storie e approfondito le caratteristiche di diversi piatti che fanno parte della tradizione culinaria modenese, senz’altro una delle più rappresentative della tradizione gastronomica emiliana e italiana, caratterizzata da piatti ricchi, sapori intensi e una cura particolare per gli ingredienti. Questo territorio offre un patrimonio gastronomico unico, influenzato da secoli di tradizioni agricole e culturali che hanno dato vita a preparazioni divenute simboli universali. Tutta questa notorietà attuale, quanto deve alle donne contadine che, per prime, hanno iniziato a preparare molti di questi succulenti cibi? Qual è l’importanza delle “rezdore” modenesi che, di certo, possiamo paragonare alle “azdore” romagnole delle quali abbiamo parlato tempo fa? Cominciamo a raccontare partendo da un excursus sulla gastronomia della Ghirlandina.

I piatti principali della cucina modenese

La cucina modenese è conosciuta per tanti prodotti d’eccellenza che ne rappresentano la grandezza. Vediamone alcuni. Non possiamo non partire dai tortellini in brodo, piccoli scrigni di pasta ripiena. La tradizione, generalmente vuole che siano farciti con un ripieno di carne di maiale, prosciutto crudo, mortadella, Parmigiano Reggiano e un pizzico di noce moscata. Vengono serviti in un brodo di cappone o gallina, che ne esalta il sapore. Preparare i tortellini richiede tempo e precisione e spesso è un’attività svolta in compagnia, soprattutto durante le festività, quando le famiglie modenesi si riuniscono per portare avanti quest’antica tradizione “amanuense”. Sulla diatriba con Bologna su quale sia il “vero” tortellino, non ci dilungheremo qui ma potete andarvi a leggere questo articolo del nostro blog. Zampone e cotechino, insaccati di carne di maiale aromatizzata con spezie, sono altri due piatti fortemente radicati nella cucina locale. Tradizionalmente sono serviti con purè di patate, lenticchie o fagioli e sono immancabili sulle tavole modenesi (ma ormai possiamo dire italiane), durante il periodo natalizio. “Il” gnocco fritto (grammaticalmente si dovrebbe usare l’articolo “lo” ma a Modena tutti dicono “Il”, per cui… noi ci adattiamo) è una specialità che si gusta come antipasto, accompagnato da affettati misti, formaggi e salse. Si tratta di un impasto di farina, acqua, sale e strutto, che viene fritto fino a ottenere delle soffici e leggere nuvolette di pasta. La semplicità degli ingredienti esalta la genuinità dei sapori e rappresenta il perfetto equilibrio tra povertà e creatività della cucina popolare, quella delle rezdore, appunto.

Tigelle, aceto balsamico tradizionale, erbazzone, borlenghi…

Le tigelle sono piccole focacce rotonde cotte su piastre speciali. La tradizione le vede abbinate a salumi e formaggi o con il tipico pesto modenese, una salsa di lardo, aglio e rosmarino. L’aceto balsamico tradizionale (da non confondere con l’aceto balsamico che trovate nei supermercati), è una vera e propria perla della gastronomia sotto la Ghirlandina, nonché uno dei prodotti più antichi e pregiati della cucina italiana. Realizzato con il mosto d’uva cotto e invecchiato per anni in botti di legno attraverso un lungo e complesso processo, l’aceto balsamico tradizionale di Modena viene utilizzato in molteplici ricette, dalle insalate ai dessert. È un ingrediente che richiede tempo e pazienza, poiché solo dopo decenni di affinamento sviluppa il suo aroma unico e complesso. Erbazzone e borlenghi sono tipiche preparazioni della tradizione contadina. Si differenziano per la farcitura e per il metodo di cottura. L’erbazzone è una torta salata ripiena di bietole, spinaci, pancetta e Parmigiano Reggiano, mentre i borlenghi sono sottilissime crepes croccanti, spesso farcite con lardo, aglio e Parmigiano.

La rezdora, “radice forte” della cultura modenese

Molte delle preparazioni che abbiamo appena citato sono state cucinate per la prima volta nelle case contadine del modenese, dove “regnava”, proprio in senso letterale, la rezdora. E, in effetti, il termine rezdora deriva dal dialettale “reggere”, “governare” o “gestire”. Proprio come una regina. Storicamente centrale nella vita e nella cultura contadina locale, era la donna della famiglia che gestiva gli affari di casa, sovrintendeva alla cucina, organizzava i pasti, trasmetteva le tradizioni gastronomiche. Più di una semplice cuoca, la rezdora rappresentava una custode di conoscenze secolari. Era il perno attorno al quale ruotava l’organizzazione domestica: era lei a decidere cosa piantare, cosa conservare e come preparare i cibi per l’inverno, in modo da garantire il sostentamento della famiglia. Una vera manager della logistica, si direbbe oggi. Inoltre, era lei che tramandava i segreti delle ricette, come la giusta consistenza della sfoglia o il giusto ripieno per i tortellini. Queste competenze erano (e in parte sono ancora) trasmesse di madre in figlia, in un passaggio di saperi che avveniva quasi esclusivamente all’interno del contesto familiare. Ed è per questo che in uno stesso luogo, possiamo trovare due ricette leggermente differenti di un piatto tipico locale: ogni famiglia ha i suoi segreti. E, grazie al lavoro delle rezdore, questa sapienza familiare oggi si fa storia e attualità insieme. E caratterizza la grande cucina modenese. Per cui sì, alla domanda iniziale dobbiamo rispondere che la cucina modenese di oggi è figlia delle rezdore del tempo che fu.

L’immagine di copertina è di biopresto tratta da commons.wikimedia.org.