La bresaola è un salume magro della Valtellina (che gode dell’Igp) e, più recentemente, anche della Val d’Ossola, con tantissime qualità. Il Consorzio dei produttori valtellinesi sostiene che aiuti ad arrivare a una buona disposizione d’animo perché aiuta a produrre la serotonina, il cosiddetto ormone del
buonumore. Inoltre, è ricca sia di vitamina B12, considerata la vitamina dell’energia, sia di zinco e
selenio che sono molto utili al sistema immunitario. Le calorie (per un etto di bresaola) sono solo 151. Le proteine sono pari a 33,1 grammi (e stiamo ovviamente parlando di proteine nobili, quelle di origine animale). Ci sono il sodio (1,6 grammi) e anche il potassio (630 milligrammi). Poi contiene ferro (2,6 milligrammi) il quale aiuta sia a produrre globuli rossi, sia a contrastare l’anemia. Non ditemi che le vostre mamme o le vostre nonne non vi hanno mai servito qualche bella fetta di bresaola quando il vostro medico di famiglia vi trovava un po’ “deperiti”!
Bresaola, salume magro e utile
Cominciamo a dire che la bresaola oggi è un secondo piatto molto diffuso in tutta Italia. Si può preparare creando prima una citronette con olio d’oliva, succo di limone e pepe e bagnando con questa le fette di bresaola. Va lasciata insaporire qualche minuto per poi essere aggiunta di parmigiano e rucola. Una ricetta semplice ma che esalta proprio l’assorbimento del ferro grazie al limone e alla rucola. Ecco perché viene consigliata a chi abbia quel tipo di mancanza. A dir la verità, questo salume contiene anche del colesterolo (63 milligrammi) ma per una persona mediamente in salute, il tetto del colesterolo giornaliero è di 300 milligrammi. Insomma, un etto di bresaola si può tranquillamente mangiare. Stiamo effettivamente parlando di un salume decisamente magro da consumarsi come secondo piatto di portata ma anche, perché no, come merenda proteica, visto il suo alto tasso di digeribilità. Assolutamente meglio delle merendine dolci industriali, su questo non ci piove.
Bresaola, l’origine del nome
Non si sa bene da dove provenga il nome “bresaola”. Secondo alcuni studiosi viene da “brisiola” che nel dialetto valtellinese significherebbe “braciola”. Secondo altri dal modo di dire: “Salaa come brisa” (salata come la brisa). Pare che con il nome brisa s’indicasse una ghiandola bovina conservata sotto sale come si usava in epoca medievale e rinascimentale. Altre interpretazioni: con “brisa” si indicherebbe la somiglianza con una ricotta salatissima prodotta nei confinanti Grigioni, detta appunto brisa. Ancora altri autori riconducono il nome a brasa, poiché in talune contrade della Valtellina si procedeva all’asciugamento della carne salata ponendola sopra dei bracieri alimentati con carboni di legno di abete e di bacche di ginepro.
Quando “apparve” per la prima volta la bresaola?
Insomma, non c’è unanimità sull’origine del nome e, ci sono forti discordanze anche su quando questo salume fece la sua prima apparizione in qualche documentazione storica. Le prime testimonianze sulla sua produzione sono descritte da un certo canonico Lupi in un libro mastro del 1488 che registra un acquisto di carni e le quantità di sale, espresse in libbre, a esse destinate. Altre testimonianze sarebbero state quelle ritrovate in un lodo divisionale di beni, pubblicato nel 1439, o quella in uno statuto del 1467 riguardante le provviste dei castelli, nei quali sembra ci fosse una prova, peraltro non molto attendibile, della presenza di questa specialità alimentare. Quel che è certo, è che la bresaola piace moltissimo (il suo mercato vale più di 450 milioni) e deve essere prodotta in un determinato modo: vediamo come.
Come si fa la bresaola Igp?
Il disciplinare di produzione della Igp della Valtellina prevede che la bresaola sia prodotta con le seguenti masse muscolari della coscia di bovino private di ossa: fesa, punta d’anca, sottofesa, magatello e sottosso. Il processo produttivo prevede: la selezione della materia prima e la rifilatura dei tagli di carne. Poi, la salagione a secco; l’asciugamento; la stagionatura; il controllo del prodotto finito. La salagione è sempre preceduta da un controllo visivo dei tagli di carne utilizzati per la produzione della bresaola e, se
necessario, dallo scarto della materia prima non conforme. Cosa vuol dire che è effettuata a secco? Che la carne viene cosparsa con sale e aromi naturali. Possono essere impiegati vino, spezie, zuccheri (con lo scopo di favorire i fenomeni microbici responsabili in buona parte della stagionatura del prodotto), nitriti e nitrati di sodio e potassio, acido ascorbico e sale sodico. La salagione, che ha una durata non inferiore ai dieci giorni, è interrotta da operazioni di massaggio, per consentire una più rapida e uniforme migrazione del sale all’interno del prodotto. La carne salata viene poi insaccata in budelli naturali o artificiali e inviata alla fase successiva di asciugamento in apposite celle. Questo, che deve consentire una rapida disidratazione del prodotto nei primi giorni di trattamento, viene condotto a una temperatura compresa tra 20 e 30 gradi centigradi e in condizioni di umidità dell’aria pari al 35-65%. Alla fase di asciugamento segue la stagionatura condotta a temperatura compresa tra 12 e 18 gradi e in condizioni di umidità dell’aria pari al 70-90%. I locali di stagionatura, così come quelli di asciugamento, devono essere muniti d’impianti per il mantenimento e la rilevazione della temperatura e dell’umidità e devono consentire un ottimale ricambio dell’aria. Asciugamento e stagionatura devono avere una durata minima complessiva di quattro settimane. Il prodotto finito deve rispettare le caratteristiche organolettiche, chimiche, chimico-fisiche e merceologiche tipiche definite nel Disciplinare.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.