Uno dei vini più amati e più modaioli di questo periodo è il Prosecco. Attualmente è il vino italiano più venduto al
mondo e, nell’anno 2013, ha addirittura superato lo Champagne francese. Per dare qualche numero: nel 2019 sono state vendute 92 milioni di bottiglie di Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg e 500 milioni fra Prosecco Doc e Prosecco di Asolo. Si accompagna benissimo ai vari aperitivi e “spritz” che, partendo dal Veneto, sono diventati un’abitudine italiana e non solo. Un vino allegro, da compagnia, poco impegnativo ma, in realtà, con una grande storia alle spalle e con un’attualità che parla di Docg (Denominazioni di origine controllata e garantita) e Doc (Denominazione di origine controllata), di assoluto prestigio.
Le radici del Prosecco sono da ricercarsi nel Pùxinum degli antichi romani. Secondo le fonti del periodo Livia, moglie di Augusto (siamo attorno all’anno zero del calendario cristiano), era solita berne un bicchiere quando si sentiva debole e stanca. L’affermazione che “bere un bicchiere di vino allunga la vita”, oggi patrimonio della scienza (il resveratrolo, che è un fenolo presente nell’uva, rimuove le molecole responsabili dell’infiammazione nel sangue e svolge un ruolo antiossidante), aveva già un riscontro empirico all’epoca visto che Livia visse per ben 86 anni, età del tutto inusuale al tempo. Merito del Pùxinum? Può essere.
A contendersi la primogenitura del Pùxinum e quindi del Prosecco che sarebbe il suo moderno erede, sono due zone del nord Italia. Una a ridosso di Trieste nella frazione di Prosecco, appunto, e del Castello di Duino e, l’altra, nei territori di Vicenza e Treviso. Questo perché le fonti di origine latina sono ambigue e non indicano esattamente una specifica zona facilmente individuabile. Noi ci accontentiamo di sapere che oggi il Prosecco Doc viene prodotto nei territori ricadenti in quattro province del Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine) e in cinque province del Veneto (Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza).
La prima citazione conosciuta del cambio di denominazione da Pùxinum a Prosecco è dovuta all’esploratore e scrittore inglese Fynes Moryson, che nella sua opera An Itinerary, visitando il nord Italia nel 1593 annotò:
“L’Histria è divisa tra il Forum Julii,
e l’Histria propriamente detta (…).
Quicresce il vino Pucinum, ora
chiamato Prosecho, assai celebrato da Plinio”
Plinio sarebbe Plinio il Vecchio, scrittore e naturalista del primo secolo dopo Cristo che i lettori di questo blog già conoscono per essere citato più e più volte. Il successo attuale del Prosecco ha invece le proprie radici nell’opera di Antonio Carpenè, chimico nonché camicia rossa garibaldina che nel 1868 fonda lo “Stabilimento vinicolo trevigiano con annessa distilleria a vapore”. Fino a quel momento il Prosecco di quelle zone era un vitigno del tutto secondario ma, grazie alla spinta di questo giovane imprenditore e di altri personaggi come l’abate Felice Benedetti (che con Carpenè fonda la Società enologica Trevigiana) e il conte Marco Giulio Balbi Valier (il quale seleziona un clone di Prosecco migliore degli altri), comincia ad assumere le caratteristiche e l’importanza che oggi tutti gli conosciamo.
Il vitigno utilizzato per produrre il Prosecco è il Glera, un vitigno antico, semi aromatico e dagli acini dorati. La composizione del Prosecco deve essere 85% di Glera e il restante di vitigni a bacca bianca, i più utilizzati sono il Verdiso, la Bianchetta Trevigiana, la Glera Lunga e il Perera. Le sue caratteristiche sensoriali: il colore deve essere giallo paglierino che può variare dal paglierino scarico al carico; all’olfatto ha un leggero aroma fruttato, unito a una fragranza floreale di rosa, acacia e glicine con una lieve nota agrumata. L’aroma fruttato avvertito al naso è percepibile anche al gusto insieme con un retrogusto zuccherato bilanciato da una leggera acidità. Sono previste tre tipologie di Prosecco: tranquillo, in altre parole privo, o quasi, di anidride carbonica; frizzante, con una pressione massima di 2,5 atmosfere; spumante, con una pressione superiore alle tre atmosfere.
Le tipologie, in base ai livelli di zuccheri sono: Brut, una tipologia di Prosecco spumante, caratterizzato dal residuo
zuccherino inferiore a 12g/l. E’ un vino raffinato, dal colore paglierino scarico e dal gusto secco e deciso. Adatto per essere consumato a tutto pasto. Extra Dry, la versione più classica di Prosecco, con residuo zuccherino tra i 12 e i 17 grammi per litro. Il colore è paglierino scarico e il perlage è fine e persistente. Quindi, un vino dal gusto più morbido, ma non al punto da poter accompagnare i dessert. Dry, Prosecco spumante dal gusto dolce, con residuo zuccherino tra i 17 e i 32 g/l. E’ un vino dal sapore amabile e fruttato, caratterizzato dal colore paglierino brillante e un perlage fine e persistente. Nella versione Dry si possono raggiungere risultati eccellenti con le uve provenienti da Cartizze. Il Prosecco Brut è ideale da gustare soprattutto con primi piatti, per esempio ai frutti di mare, con antipasti o stuzzichini, formaggi e verdure. Il Prosecco Extra Dry è ottimo da assaporare agli aperitivi, minestre di legumi e frutti di mare. Ma anche con paste insieme a sughi strutturati, formaggi freschi, frutta e pasticceria secca. A differenza dei precedenti, cibi speziati o piccanti sono l’ideale per accompagnare il Prosecco Dry.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.