La leggenda più bella che riguarda il panforte di Siena è legata alla battaglia di Montaperti che in molti ricordano perché Dante ne
parla nella Divina Commedia attraverso le storie di personaggi come Farinata degli Uberti e Bocca degli Abati. Fu la battaglia che il 4 settembre del 1260 (Dante nacque solo cinque anni dopo) vide opporsi l’esercito ghibellino guidato da Siena, fedele all’imperatore, all’esercito del papa condotto dai fiorentini. Le forze in campo erano favorevoli a questi ultimi (30mila fanti e tremila cavalieri) contro i 18mila fanti e 1800 cavalieri dei senesi. La battaglia si risolse con una sconfitta sonora dei fiorentini che persero nettamente nonostante la superiorità numerica. Le fonti dell’epoca raccontano di 10mila morti fra i guelfi contro soli seicento da parte ghibellina. L’eco di quella battaglia fu tale che, nonostante Dante non fosse ancora nato, si sentì in dovere di citarla nella sua opera più importante alcuni decenni dopo perché ancora se ne parlava come un cruciale fatto di cronaca e storia.
Secondo la leggenda, la vittoria dei bianconeri sui gigliati (scritto così, sembra quasi uno Juventus – Fiorentina dei giorni nostri, absit iniuria verbis…) fu in parte merito del pan pepatus dato da mangiare ai soldati ghibellini prima della battaglia che per loro funzionò come un moderno “doping”, data la forza che i suoi ingredienti riuscivano a trasmettere. Per alcune fonti il panpepato sarebbe l’antenato del panforte senese (la composizione del panpepato recita: farina di grano, miele, spezie, fichi secchi, marmellata, pinoli e aromatizzazione con pepe). Secondo altri, il dolce che diede le basi al panforte fu il panis melatus, una focaccia di farina, acqua e miele alla quale, nel corso dei secoli, sarebbero stati aggiunti fichi, uva e altri frutti come arancia e limone. Questi ultimi, inacidendosi nel tempo, avrebbero poi dato quel sapore forte e asprigno a questo preparato, facendolo diventare, appunto il panis fortis, il panforte dei nostri giorni. Naturalmente è difficile stabilire quale delle due scuole di pensiero abbia ragione.
Il panforte comincia ad essere conosciuto fuori da Siena verso il Quattrocento. Siamo in pieno Rinascimento e la Toscana è il centro del mondo. Il panforte diventa, in quel periodo, uno di quei dolci che è “chic” esibire a tavola perché oltremodo ricco d’ingredienti anche non comuni e dunque simboleggia la ricchezza di chi lo può offrire ai propri ospiti. Nel corso dei secoli sarà apprezzato da tanti personaggi famosi. Fra questi i poeti Ugo Foscolo che si faceva rifornire da Quirina Mogetti Magiotti, una sua amante senese, e Giovanni Pascoli che lodava la bravura dei pasticceri di quella città:
“Caro Orazio, i panforti, come scudi
Omerici, d’argento cesellato,
brillano nella cantera, e dallato
hanno amaretti e cavallucci, studi
incliti di Sanesi pasticceri.
Siena! Dolce paese!
Oh mi si dia
Di veder la città de’ miei pensieri”
L’ultimo ritocco alla ricetta del panforte contribuì a fornirlo la Regina Margherita, moglie di re Umberto I, quando arrivò a Siena nel 1879 per assistere al Palio di agosto. Un pasticcere ebbe l’idea di regalarle un panforte con alcune leggere variazioni: sopra uno strato di zucchero a velo e, dentro, vaniglia e canditi di limone (che poi sarà sostituito dal cedro). Il panforte Margherita (o panforte bianco) è oggi la versione forse più conosciuta di questo dolce. L’altra versione, in panforte nero, è quella più tradizionale e antica. L’attuale Disciplinare di produzione ammette alla IGP (Indicazione di Origine Protetta) tutte e due le versioni. Quella nera con l’impiego del 35-40% di canditi di melone, l’aggiunta del pepe e senza zucchero a velo né miele e quella Margherita che prevede la stessa percentuale di canditi di cedro e arancia, una maggiore quantità di farina, miele e zucchero a velo a copertura. Per concludere, eccovi gli ingredienti per preparare il panforte a casa e la relativa ricetta:
Ingredienti:
350 grammi di mandorle non pelate 350; 100 grammi di scorza d’arancia candita; 100 grammi di cedro candito; 150 grammi di farina tipo 0; 10 grammi di spezie miste (noce moscata grattugiata e cannella); 3 chiodi di garofano; 5 grammi di semi di coriandolo; 10 grammi di pepe; 150 grammi di miele millefiori; 150 grammi di zucchero a velo; 30 ml d’acqua; una ostia alimentare.
Ricetta:
Tostate le mandorle nel forno a 180 gradi per cinque minuti. In una ciotola mettete la frutta candita tagliata a pezzetti, la farina, le spezie, il pepe, i chiodi di garofano, il coriandolo e le mandorle tostate. Mescolate il tutto. Poi versate in una piccola pentola l’acqua, il miele e lo zucchero a velo e mettete sul fuoco mescolando di continuo. Quando questo composto inizierà a bollire e assumerà un colore ambrato, versatelo nella ciotola, dove si trovano gli altri ingredienti e amalgamate bene. Sistemate il tutto in uno stampo rivestito con carta forno, dove avrete posto il disco di ostia come base. Schiacciate il composto con l’aiuto di un cucchiaio per farlo aderire bene e cuocete in forno già caldo a 150 gradi per circa mezz’ora. Una volta cotto, fate raffreddare e decorate con zucchero a velo.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.