Il Monte Grappa, in Veneto, è per tutti noi sinonimo di Prima Guerra Mondiale, combattimenti, sacrari e memoriali ma, dal 15 settembre 2021 è anche Riserva Ufficiale della Biosfera Unesco, che è una cosa diversa rispetto a essere patrimonio dell’Umanità Unesco. Vuol dire che questo territorio presenta un’elevata e assolutamente originale biodiversità che merita di essere conservata e sviluppata per il bene dell’umanità intera. Di questa Riserva fanno parte venticinque Comuni divisi fra le province di Vicenza, Treviso e Belluno.
Il formaggio morlacco
Dunque, viene data molta importanza alla filiera che, partendo dalle coltivazioni agli allevamenti, porta a
prodotti che rendono l’area del Monte Grappa un laboratorio a cielo aperto dell’armonia fra uomo e ambiente. A partire dal prodotto forse più identitario di tutti che è il formaggio morlacco. Questo ha una storia molto interessante. I morlacchi erano un popolo di pastori nomadi di alcune vallate tra la Bosnia e la Croazia. I loro formaggi, grazie ai commerci con la Repubblica di Venezia, arrivavano in tutto il Veneto e la leggenda racconta che alcune comunità morlacche si trasferirono proprio sul Monte Grappa per allevare mucche al pascolo e produrre poi il loro formaggio. Del morlacco se ne ebbero tante versioni quante erano le malghe nelle quali veniva preparato, prima di arrivare a una vera e propria codifica attorno agli anni ’50 del secolo scorso.
Come si fa il morlacco
E’ un cacio prodotto con latte vaccino di vacca Burlina semigrasso, a pasta cruda, molle o semidura, a cagliatura presamica (cioè aggiungendo al latte il caglio). Il latte della mungitura serale viene posto in vasche di affioramento e lasciato lì fino al mattino successivo, viene quindi separato dalla materia grassa, posto in caldere di rame e mescolato al latte della mungitura del mattino; il rapporto tra latte scremato e latte intero risulta quindi di uno a uno. Il latte viene quindi riscaldato e portato a una temperatura compresa tra i 35 e i 40 gradi. Viene aggiunto il caglio e ottenuta la cagliata si lascia riposare per un tempo compreso tra 20 e 30 minuti; questa viene poi tagliata e separata mediante tele. La salatura è a secco per 2-4 giorni. È ammesso iniziare la salatura prima della sformatura. La maturazione, per un minimo di sei e un massimo di 15 giorni, avviene in apposito locale. È un formaggio da pasto, da abbinare con la polenta per fare risaltare il suo gusto molto saporito. Si sposa bene anche con il melone, la soppressa e con insalate miste.
Gli asparagi di Bassano e i bisi di Borso
Il morlacco non è l’unico prodotto della Riserva della Biosfera Unesco del Monte Grappa. Vanno quantomeno citati gli asparagi bianchi di Bassano del Grappa, scoperti per caso nel Sedicesimo secolo dopo una violenta grandinata che portò alla luce questi ortaggi. Sono bianchi perché crescono sottoterra, privi di luce. Dolci e croccanti ma con una leggera vena amarognola. Le colline di Pove, in Valsugana, sono ricche di ulivi. Lì esiste un antico cultivar, la Pomella, che ha contribuito a fare entrare questa cittadina nell’elite delle città dell’olio nel 2006. A Borso del Grappa esistono i bisi de Borso che sono dei piselli indigeni molto pregiati grazie alle proprietà dei terreni sui quali vengono coltivati: una terra che drena l’acqua senza farla ristagnare e dove ci sono poca umidità, tanto sole e il giusto vento.
Il miele di Asolo e la mora di Maser
Asolo, invece, è entrata nelle città leader per quel che riguarda la produzione del miele di qualità. Come abbiamo visto la scorsa settimana, intervistando Matteo Nicoletti, in Italia sono tanti i produttori di miele bio e non, comunque sempre di grande qualità. Assolutamente da preferire ai prodotti industriali stranieri. Le ciliegie di Maser sono una ricchezza del territorio attorno al Monte Grappa già dal 1345, come risulta da alcuni documenti storici. Ne esiste una cultuivar specifica: la mora di Maser, la quale ha una maturazione tardiva che permette ai coltivatori di rimanere sul mercato più a lungo e di entrare in competizione anche con la più conosciuta ciliegia di Marostica IGP.
Il fagiolo di Lamon
Per finire, possiamo citare il fagiolo di Lamon, nel bellunese, che è un perfetto esempio di “globalizzazione”
ante litteram. Infatti, questo legume, che proveniva dalle americhe, fu regalato da Carlo V re di Spagna (quello sul cui impero non tramontava mai il sole) a papa Clemente VII in segno d’omaggio. Il papa ne donò alcuni baccelli a uno dei suoi più abili aiutanti, Piero Valeriano il quale, tornato nei suoi luoghi natii, ovvero le valli bellunesi, ne diede le sementi ai suoi parroci perché, a loro volta, le elargissero ai contadini. In breve divenne un cibo gradito e abitudinario per tutte quelle popolazioni e cominciò a essere esportato, tramite i soliti mercanti veneziani, fino alla Spagna, il luogo da dove era arrivato, in seconda battuta. A volte certi cibi fanno giri immensi ma poi…
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.