Si diceva del ragù come condimento basilare. L’etimologia della parola ha le sue basi nel francese ragoût, sostantivo derivato da ragoûter, cioè “risvegliare l’appetito”, e originariamente indicava dei piatti di carne stufata con vari tipi di verdure che poi fu usato per accompagnare altre pietanze: in Italia, principalmente la pasta. Il ragù francese venne usato prima dell’arrivo in Europa del pomodoro avvenuto verso la fine del XVI secolo, perciò nasce senza l’uso del pomodoro.
Durante il ventennio il regime tentò di “italianizzare” il termine visto come non puramente italiano e quindi non consono al vocabolario fascista, trasformandolo in ragutto. A dire il vero già dai tempi di Giuseppe Verdi c’era la mania di trasformare “in italiano” le parole provenienti dall’estero. Basta vedere il re Nabucodonosor ridotto in Nabucco e il Macbeth di Shakespeare in Macbetto. Direi che come esperimento linguistico anche l’ultimo non è uscito impeccabile e abbiamo fatto bene a dimenticarlo ed essere ritornati al ragù.
Oggi si confondono il ragù e il sugo di carne. Il confine tra l’uno e l’altro non è ben definito e si tende ad accomunarli in un unico prodotto. Attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne, ma il ragù non è la “carne c’ ‘a pummarola”, come recita la poesia “‘O rrau” di Eduardo De Filippo dedicata al rugù napoletano.
In Romagna si mantengono le tradizioni che vogliono il ragù fatto senza salsa di pomodoro.
Resta basilare precisare che le differenze esistenti tra un ragù e un sugo di carne li pongono su due livelli nettamente distanti per caratteristiche organolettiche: il colore l’odore e il sapore sono diversi. Senza dare la palma del migliore all’uno o all’altro, il punto sostanziale è che esistono delle caratteristiche che non li possono accomunare. Il sugo di carne è semplicemente il suo nome: carne cotta nel pomodoro più o meno aromatizzato con altre verdure. Il tempo di cottura è sostanzialmente protratto fino a che la salsa si è rappresa e concentrata.
Il ragù non è di semplice realizzazione e richiede dei tempi lunghissimi di cottura e di modi elaborati nella preparazione. Non ho intenzione di scrivere la ricetta perché sappiamo che essendo un prodotto popolare non ha di fatto un padre e una madre che lo definiscono. Vado a memoria di come mia mamma se lo curava con pazienza e con tappe sistematiche.
Innanzi tutto la scelta del recipiente di cottura deve cadere su un tegame di coccio.
La carne sia di manzo e di maiale ma di buono taglio e non stopposa. Anche la salsiccia, ma di buona qualità, può essere usata come carne di maiale. Se non si ha la sicurezza della qualità è meglio rinunciare.
Una variante tradizionale e molto saporita ma caduta in disuso è l’aggiunta di interiora (raguiem) di pollo tra le quali sono da preferire: fegato (curadela), stomaco (maghet), reni (argnoun) e collo in quantità di una parte di essi con dieci di carne.
Occorrono un battuto di cipolla, di sedano e di carota in parti uguali come base da soffriggere nel lardo battuto. Al lardo può essere aggiunto poco olio extra vergine di oliva, poco perché a cottura ultimata il ragù non deve navigare nell’olio. Ottenuto il soffritto viene aggiunta la carne intera a rosolare a fuoco lentissimo nel soffritto rigirandola più volte per uniformare la rosolatura. Mia mamma rosolava la sera precedente e lasciava a insaporire così la carne fino alla mattina dopo. Ottenuta la rosolatura si tolgono le carni dal tegame e si tagliano a tocchetti fini e più grossolani che poi dovranno essere rimessi nel tegame per iniziare la cottura del ragù. A questo punto va aggiunta pochissima conserva triplo pomodoro e del sangiovese che verrà svaporato sempre a fuoco lentissimo.
La cottura verrà ultimata con del brodo di carne anche diluito in acqua, aggiunto bollente a mano a mano che il tegame tende ad asciugarsi. I tempi di cottura vanno dalle quattro alle cinque ore a fuoco lentissimo.
Il fuoco va regolato in modo che la bollitura deve essere cadenzata in una o due bolle per volta. Il sale si può aggiungere a piacere in ogni momento di cottura. Sono da evitare gli orrendi dadi con glutammato, il sapore verrà garantito dalla qualità della carne, dalla cottura lentissima e dal coccio che non disperde il calore.
Il ragù chi si deve ottenere è di colore marrone scuro e perfettamente asciutto.
Beh diciamocela tutta, di fronte ad un piatto di tagliatelle al ragù, gli animi e i volti sono più sereni.
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.