Il pane raffermo era usato anche per questo piatto che non è tipicamente romagnolo ma patrimonio della cucina povera: è una minestra preparata con pezzi di pane raffermo bolliti in brodo o acqua e conditi. La sua origine potrebbe esserci tramanda dal Medioevo.
Presente in tutte le regioni d’Italia con infinite varianti dovute al tipo di pane, al liquido utilizzato per ed al procedimento di cottura, utilizza i prodotti del territorio come l’olio, il pane tipico e le verdure. Può essere servito come piatto caldo o freddo a seconda della stagione.
Le versioni del pancotto sono numerose e diverse tra loro: si va dalla panada lombarda al pancheuto ligure, dal pane cottu sardo e via dicendo.
Nonostante che rappresenti la tavola povera viene menzionato da “mangiari di romagna” la bibbia della cucina tradizionale romagnola da cui estraggo la preparazione. Per fare il pancotto (pancot), i citati avanzi di pane secco (trochle ad pen) vengono messi in ammollo fino a ridurli in poltiglia. Messi in tegame di terracotta si cuociono con spicchi di aglio e a piacere con poca salsa di pomodoro, ma poca giusto per dare un colore rossastro. Il pomodoro non deve sovrastare gli altri sapori. Deve bollire molto e a fuoco lento in modo che a contatto col coccio faccia la crosta
(un leccornia questa!). Condire con olio e cospargere di grana.
Se si aggiunge il pane al brodo e si cuoce aggiungendo le uova e gli odori, non è più pancotto ma diventa la stracciatella, la panata nel ravennate. Il piatto col quale si soleva solennizzare la Pasqua d’uovo, quando l’uovo sodo era benedetto dal prete. Anche l’Artusi ne fa un piatto tradizionale riportandone la ricetta nel suo manuale “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” come “minestra di pangrattato”.
Il pancotto oltre ad essere cibo nelle tavole più povere veniva utilizzato per favorire l’allattamento e veniva servito ai convalescenti. Non era molto gradito dagli adulti, e già il colore pallido non deponeva a suo favore, che avevano bisogno di cibo più sostanzioso. Era la “pappa” degli infanti, dei malati e degli anziani senza denti. Oggi si potrebbe anche sorridere per una cosa del genere, come una faccia senza denti? Sì certo, ma avevamo facce incredibilmente vive, simpatiche e… sdentate che non abbiamo più. Erano gli anni del sabato sera davanti al televisore quando a mamma RAI comparivano le figure da clown dei “ I Brutos” con quelle smorfie e quelle dentature improbabili.
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.