E qui siamo nel cuore gastronomico di quella tradizione delle cucine dove si utilizzava ogni cosa e non si scartava nulla. È un piatto che richiama la mentalità parsimoniosa e umile della cultura contadina che mai avrebbe sprecato una briciola di pane. Il pane era il prodotto del duro lavoro dei campi. Nei tempi di emigrazione dall’Italia verso le Americhe o i paesi del nord Europa, il pane non era presente sulle tavole povere, mancava pur essendo considerato da sempre il cibo simbolico della alimentazione primaria. Questa concezione di cibo essenziale è rimasta nella mente dei più anziani che ci hanno tramandata. Pur non avendo vissuto in quei periodi grami, non ho mai buttato via un pezzo di pane memore di queste verità ascoltate da bambino, quasi come fossero favole. Si recuperavano questi pezzi di pane perché non era concepibile gettare via un pezzo di pane per quanto fosse secco.
Il componente di base dei passatini (pasadein) sono gli avanzi del pane fatto coi metodi di fermentazione naturali, raffermo e rinsecchito (i trochle ad pen), ed essendo il pane il componente fondamentale è necessario che abbia i detti requisiti di qualità per il nobile fine a cui è destinato.
In passato i passatini erano la minestra delle feste e delle grandi occasioni come la Pasqua, l’Ascensione, i battesimi, le cresime ed i matrimoni, ma a Natale dovevano l sciare il posto e senza alcun appello ai cappelletti in brodo.
Sta tra i primi piatti tipici della Romagna, il più caratteristico, originario, forse il più…romagnolo, per semplicità e per la delizia del palato. I passatelli hanno la caratteristica forma di filamenti del diametro di circa 5 millimetri, rugosi e abbastanza consistenti.
La preparazione dei passatini si fa sul momento. Si gratta il pane e si amalgama con la stessa quantità di parmigiano e con uova freschissime. Il tutto viene aromatizzato con odore di noce moscata e scorza di limone grattata, da usarsi a piacere insieme o separatamente. Poi si impasta tutto con forte pressione della palma e col sapiente lavoro delle arzdore si ottiene un composto di consistenza abbastanza dura. La consistenza è data dal pane grattato ed è bene lasciarne indietro. Si chiamano passatini, o passatelli fuori dalla Romagna, perché si lavorano con un apposito ferro traforato (fer di pasadein) …”poche essendo le famiglie in Romagna che non l’abbiano” come riporta l’Artusi. Col ferro si calca sul composto che passando attraverso i fori farà uscire dei bigoli corti che verranno cotti nel brodo di carne in bollore e si restringeranno un pochino dalla forma originale. Il brodo è quello tradizionale fatto di gallina, manzo nei vari tagli, osso buco e odori vari: cipolla, carota, sedano, patata e poco pomodoro. Nella ricetta dei passatini suggerita da Pellegrino Artusi c’è l’aggiunta del midollo di bue per renderne l’impasto più tenero… “non è necessario scioglierlo al fuoco, basta stiacciarlo e disfarlo colla lama di un coltello”. In mancanza del detto ferro sono giusti i fori del passapatate.
Mia mamma soleva dividere in due porzioni il composto: la maggiore serviva allo scopo, alla parte restante dava una forma come di un grosso salame, e lo chiamava matto (e’ salem mat), non ho mai saputo per quale ragione. Messo a cuocere nel brodo tendeva a galleggiare e ne osservavo le evoluzioni e le capriole che faceva, forse per quello era matto. Veniva poi tagliato a fette e servito col bollito: una goduria!
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.