Perché il grano diventa moderno? Quali sono le ragioni di un progressivo abbandono delle culture antiche a favore di quelle moderne?
Nel 1927 si dimostrò che irradiando le drosofile, i moscerini della frutta, con raggi X (quelli per fare le lastre) si aumentava enormemente la frequenza di mutazione dei geni. Molti insetti non sopportavano l’irraggiamento e morivano, dai sopravvissuti si sviluppavano soggetti con caratteristiche completamente diverse dagli originali. Alcuni agronomi genetisti italiani hanno pensato di applicare la stessa metodica per apportare modifiche ai semi di grano. Si tratta di modificazioni genetiche che producono “mostri” ovvero soggetti che si discostano enormemente rispetto ad altri considerati nella norma, gli “ordinari”.
L’avvento di queste tecniche di ibridazione mediate da irraggiamento hanno accentuato l’emarginazione della coltura dei “cereali minori” definiti minori solo per quantità prodotte per ettaro e non certo per la qualità delle farine. Arriviamo agli anni ’70 quando nei laboratori del CNEN (oggi ENEA) di Roma, vengono sperimentate le mutazione genetica sulla semente del grano. Dall’irraggiamento con raggi gamma del grano antico Senatore Cappelli si è ottenuto il grano Creso. Dal Creso, incrociato con altre varietà, è venuta fuori buona parte del frumento duro che oggi si coltiva nel mondo. Tutta l’industria alimentare della pasta secca fa uso di questo grano duro.
È così che i grani antichi cedono il passo a quelli più adatti alla industria alimentare. Gli antichi sono grani per la gran parte scomparsi perché poco adatti ad una coltivazione intensiva con processi meccanizzati, con largo impiego di fertilizzanti e diserbanti. Si prestano con poca resa alla lavorazione industriale e hanno produzione per ettaro più basse rispetto alle moderne coltivazioni di frumento: si è passati da rese sui 20 q per ettaro dei grani antichi ai 70/80 q degli odierni. Questo incremento di produzione tiene conto solo degli interessi commerciali volti ad aumentare la resa produttiva attraverso la modificazione dell’apparato genetico della pianta. Si sono abbassate le altezze dello stelo dai 150 cm agli attuali 40/50 per impedire l’azione distruttrice del vento, si sono accorciati i tempi di maturazione per impedire che le calure estive danneggiassero la pianta. Il grano antico con la sua altezza toglieva luce alle erbe infestanti che non crescevano, coi grani moderni bisogna far uso di diserbanti. Il grano antico non ha bisogno di tanti concimi azotati che aumentano la percentuale di proteine e glutine.
Nel passaggio non si è tenuto conto di altre peculiarità come la salvaguardia della biodiversità e l’uso di sementi meno elaborate geneticamente per una produzione di grani più salubri. Le farine dei grani antichi presentano tutte le caratteristiche organolettiche migliori dei grani modificati. In linea di massima le varietà antiche hanno un contenuto di glutine inferiore ma anche qualità e varietà di proteine più digeribili e nutrienti rispetto ai grani moderni. Il glutine è una delle proteine che si origina nell’impasto della farina con acqua, è ritenuto il responsabile di quel disordine digestivo chiamato morbo celiaco, una patologia molto complessa che attacca la superficie intestinale e fa penetrare nel sangue sostanze che altrimenti sarebbero state eliminate. L’azione distruttiva sulla mucosa dell’intestino porterebbe al disfacimento dell’intestino qualora non si dovessero prendere dei provvedimenti.
L’allarme verso il glutine è già scattato da almeno venti anni e il modo logico per farne fronte sarebbe stato il ritorno ai grani antichi, ma la risposta industriale è stata quella di creare una linea di prodotti “gluten free” per chi soffre di questa patologia creata esclusivamente dall’uso di grano moderno.
Tra i tanti ricercatori che hanno voluto vederci fino in fondo e ne hanno tratto conclusioni frutto di convegni o pubblicazioni sull’argomento, alcuni nutrizionisti dell’ospedale Careggi di Firenze hanno condotto uno studio in vivo confrontando gli effetti del consumo di farine e semole ottenute da grani antichi e moderni. Lo studio è partito prima su pazienti sani e poi su quelli con problemi cardiologici. I risultati sono stati molto positivi e hanno dimostrato che, assumendo alimenti prodotti con le varietà antiche di frumento, non solo migliorano le condizioni digestive, ma diminuisce anche il colesterolo nel sangue che, divenendo più fluido, abbassa il rischio di ictus e trombosi. Da questi studi si è visto come nei grani di antiche varietà sia presente un elevato contenuto di composti antiossidanti, con capacità antiinfiammatoria. Inoltre il glutine delle varietà antiche ha una struttura molecolare più semplice rispetto alle moderne. Con l’eliminazione di grano moderno si riducono la sensibilizzazione
dell’organismo in generale e diminuisce anche l’insorgenza di problemi legati alla sensibilità al glutine di tipo non celiaco, come ad esempio le tante intolleranze alimentari al grano. Quindi non solo celiachia come infiammazione all’intestino o dermatiti di tipo herpes, ma anche disturbi più generici che si possono manifestare come sintomi comuni ad altre patologie. C’è da segnalare anche il fenomeno dell’assuefazione al glutine che contrariamente all’intolleranza è silente nella sua manifestazione ma, il silenzio non esclude una azione altrettanto dannosa, aggravata proprio dal suo silenzio che produrrà dei danni visibili in futuro. La maniera per venire fuori da questo circolo vizioso che mette a repentaglio la nostra salute è quello di abbandonare i grani moderni dalla dieta a favore dei grani antichi o di quei cereali che non hanno glutine, possibilmente provenienti da colture biologiche. Tra questi abbiamo il riso, il mais antico non transgenico, il miglio oppure altri semi non cereali come grano saraceno, quinoa e amaranto.
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.