Nell’articolo pubblicato la scorsa settimana su questo blog, abbiamo accennato anche al finocchio e alle sue caratteristiche depurative. Oggi cerchiamo di conoscere un po’ più approfonditamente questa verdura di stagione.
Il finocchio è una pianta erbacea mediterranea conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà aromatiche ma pare
che la sua coltivazione negli orti “casalinghi” risalga solo al XVI secolo. Le varietà sono diverse. Ci sono quelle del finocchio selvatico che è una pianta spontanea, perenne, alta fino a due metri e che in estate produce ombrelle di piccoli fiori gialli. Del finocchio selvatico si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti. Il finocchio coltivato, o finocchio dolce, è una pianta annuale o biennale con radice a fittone. Raggiunge al massimo gli ottanta centimetri d’altezza. Di questo tipo si consuma la grossa guaina a grumolo bianco che si sviluppa alla base, messa in vendita con un breve ciuffo di fusti e foglie.
Il finocchio è ampiamente coltivato negli orti proprio per la produzione del grumolo, che è la parte che noi mangiamo in insalata, o in pinzimonio o cotta. E’ un insieme di guaine fogliari che si presentano di colore biancastro, carnose, strettamente appressate le une alle altre. Il suo colore bianco è dato dalla tecnica dell’imbianchimento: si tratta di una rincalzatura (La rincalzatura è una lavorazione di coltivazione che consiste nel riportare terra alla base delle piante e che si effettua a cadenza regolare). L’effetto è rendere il grumolo più tenero e più bianco e quindi piacevole alla vista. La raccolta dei grumoli avviene un po’ in tutte le stagioni (anche se quella invernale è la preferita), secondo le zone di produzione. Stiamo parlando di una pianta che si adatta a qualsiasi terreno di medio impasto con presenza di sostanza organica, anche se richiede abbondanti irrigazioni e preferisce un clima mediterraneo. La raccolta del grumolo avviene dopo circa novanta giorni dalla semina.
La raccolta del finocchio selvatico, invece, avviene in Italia appena il fiore è “aperto”, normalmente dalla metà d’agosto fino a settembre inoltrato. Si può usare il fiore fresco o lo si può essiccare all’aperto e alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole che farebbero evaporare gli oli essenziali. Si possono raccogliere i diacheni, cioè i frutti, all’inizio dell’autunno, quando è avvenuta la trasformazione dal fiore al frutto. Le “barbe” o foglie e i teneri germogli si possono cogliere dalla primavera all’autunno inoltrato.
Il finocchio, in genere, è utilizzato per chi ha difficoltà digestive, flatulenza o aerofagia. Può essere utile per ridurre la componente dolorosa della sindrome da colon irritabile. E’ indicato nell’allattamento perché aumenta la produzione del latte e, contemporaneamente, previene le coliche d’aria nei bambini. Oltre ciò gli si riconoscono qualità diuretiche, aromatiche, antispasmodiche e antinfiammatorie e di tonico epatico. In cucina si possono usare tutte le parti del finocchio. Si può mangiare il grumolo bianco del finocchio coltivato, erroneamente ritenuto un bulbo, crudo nelle insalate oppure lessato e gratinato e lo si può aggiungere agli stufati. Del finocchio selvatico si usano i fiori freschi o essiccati, i diacheni, impropriamente chiamati semi, che sono più o meno dolci, pepati o amari, a seconda della varietà, e poi le foglie e i rametti. Questi ultimi, più o meno grandi, sono utilizzati dalle nostre parti per cucinare le lumachine di mare o per conciare le olive sotto sale con peperoncino e aglio. Si usano le foglie fresche e sminuzzate per insaporire minestre, piatti di pesce, insalate e formaggi. Nella “pasta con le sarde”, nota ricetta siciliana, le foglie del finocchio selvatico sono uno degli ingredienti essenziali.
Si usano i fiori per aromatizzare le castagne bollite, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di
maiale, in particolare la “porchetta”. In Toscana il finocchio selvatico viene usato per insaporire e profumare la finocchiona, un salame in cui il finocchio sostituisce il pepe nero. I cosiddetti “semi” si usano soprattutto per aromatizzare tarallini (in Puglia), ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo, tisane o salamoie. La comune distinzione tra finocchio femmina e finocchio maschio è solo formale: il primo è di forma allungata e il secondo di forma tondeggiante. Si ottiene il cosiddetto finocchio maschio, più apprezzato sotto l’aspetto merceologico perché meno fibroso e più carnoso, grazie al concorso di fattori ambientali associati alla natura del terreno e alla sua sistemazione nell’orto e a un’adeguata tecnica colturale.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.