Molte pietanze, se vengono fritte, risultano più gradevoli al palato rispetto ad altre cotture. Gli uomini hanno imparato ben presto questa tecnica, tant’è che si hanno testimonianze scritte di cibi fritti già all’epoca degli antichi egizi. Non solo, qualche secolo dopo, i romani si dedicarono con molta passione a questo tipo di cottura. Le Frictilia, ad esempio, erano piccole paste fritte nello strutto e cosparse di miele che si mangiavano durante i Saturnalia, popolarissime feste religiose che si tenevano nella seconda metà del mese di dicembre in onore di Saturno, antico dio romano della semina.
Ma quanto friggevano i romani?
I romani, oltre ai dolcetti, friggevano anche la carne e il pesce, impanati su sfarinati grezzi per poi essere cotti in olio d’oliva o nello strutto. Friggevano anche le verdure bagnandole poi con il garum (la loro classica salsa fermentata a base di pesce), il vino, l’aceto e il miele. Non sempre, però, la loro frittura era croccante e asciutta come piace a noi moderni. Per loro, friggere significava semplicemente cuocere ad alta temperatura. E poi i fritti li trovavano anche nelle tabernae e sulle bancarelle nelle strade. E’ nel medioevo che la frittura comincia a diventare molto più simile a quella alla quale siamo abituati oggi ed è in quel periodo che, all’olio e allo strutto, si aggiunge anche il burro per la frittura, specie nelle zone del nord della Penisola, vista la grande quantità di bovini presenti su quel territorio.
L’importanza del punto di fumo
Oggi il fritto all’italiana ha una grande ricchezza di possibilità: pizze, pizzette, crocchè, patatine, frittatine, arancini di riso, fiori di
zucca, melanzane, zucchine, zeppole, chiacchiere, pescato… e chi più ne ha più ne metta. Ogni Regione possiede un cabaret di fritti declinati a modo proprio ma sempre facendo attenzione al punto di fumo quando si cuoce: “pezzi” piccoli friggono in minor tempo; l’olio, più è caldo e più velocemente svolgerà il suo lavoro. Quindi, si tratta di gettare il cibo da friggere nell’olio al momento giusto, tenendo conto di queste due varianti. Ad esempio, a una temperatura bassa, di 160 gradi, faremo cuocere le alici per 5/6 minuti; le zucchine alla julienne vanno cotte a 180 gradi per due minuti. Ogni cibo vuole una sua temperatura e un suo tempo di cottura. Il punto di fumo è la temperatura massima sostenibile dal grasso nella fase della frittura. Il punto di fumo dell’olio di girasole, dell’olio di soia e del burro è a 130 gradi; per l’olio di mais è a 160 gradi; per gli oli di cocco e di arachidi è di 180 gradi; per l’extravergine di oliva è a 210; per il burro chiarificato è di 250.
Ma il fritto fa male?
Questa è una domanda ricorrente. Ebbene, non c’è una risposta assoluta, tutto dipende da vari fattori. Per esempio, dal tipo di grasso che si usa e quante volte lo si usa. Poi, l’olio di oliva risulta meno grasso degli altri oli di semi, quindi aiuta a realizzare un fritto più leggero. Tra l’altro, assieme all’olio di arachidi, contiene una grande quantità di acidi grassi monoinsaturi che lo rende più resistente alle alte temperature al contrario degli oli, ad esempio, di girasole e di mais i quali, se superano il punto di fumo, possono creare composti dannosi per l’organismo come acroleina e acrilamide che sono cancerogeni. Ancora, si tratta di vedere a che ora si mangia il fritto; quante volte lo si mangia durante la settimana e quanto se ne mangia. Mangiare troppo fritto troppo spesso fa aumentare il colesterolo nel sangue con ovvie ripercussioni sul cuore. Ma se il fritto viene consumato un paio di volte a settimana e solo a pranzo, all’interno di un pasto equilibrato con verdure fresche e frutta, non fa male. Anzi…
Quando friggere fa bene
Diversi studi hanno ormai accertato che l’olio cucinato incentiva la secrezione della bile, la quale
scioglie i grassi alimentari e libera le vitamine che questi contengono rendendo agevole il loro assorbimento. Il soffritto favorisce la forma fisica perché il fegato, attivato, lavora meglio nel trasformare gli ormoni circolanti e questo aiuta in maniera particolare le donne in menopausa a ritrovare la forma. Rende la pelle più luminosa perché l’aumento di bile, i cui acidi vengono messi in circolo, elimina le molte tossine liposolubili trattenute dalla pelle. L’azione disinfettante della bile, normalizza la flora batterica intestinale riducendo la produzione di gas e, quindi, sgonfia l’intestino. Infine, aumenta il livello di energia perché sia l’eliminazione delle tossine, sia lo stimolo funzionale, aumentano la produzione di energia delle cellule epatiche. Insomma, se non si superano i due fritti a settimana, esercitiamo il fegato e la bile con uno “sforzo” calcolato che ne migliora la prestazione e non ne danneggia le funzioni. Come sempre, l’importante è avere la misura giusta ne fare le cose.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.