Riprendendo lo stesso percorso che dall’Hotel Doge vi porta a Santarcangelo o a Verucchio e che vi
abbiamo già descritto nell’articolo di due settimane fa, giunti ai piedi della “culla dei Malatesta”, proseguite ancora verso l’interno della valle fino a raggiungere prima Torriana e poi Montebello. Sono circa 38 chilometri di pedalata (il doppio fra andata e ritorno) con l’obiettivo di… incontrare un fantasma e mangiare un bel piatto di strozzapreti. E’ un itinerario con nessun grado di difficoltà nei primi chilometri ma impegnativo quando si tratterà di salire sui “cucuzzoli” dove si trovano il castello di Torriana, prima, e quello di Montebello, poi. Non tanto per le altezze assolute, quanto perché la strada s’impenna bruscamente. Costeggiando sempre il fiume Marecchia sulla ciclabile (l’alternativa più veloce è pedalare sulla Strada Statale Marecchiese), dopo Santarcangelo sfiorerete la frazione di Santo Marino e il territorio di Poggio Berni, prima di arrivare a Torriana.
A Torriana e Montebello
Per raggiungere questo borgo si sale a quota 330 metri per due chilometri con pendenze superiori al 10%. Il castello si trova sulla cima di un’irta collina di 377 metri. Si tratta di pedalare per altri 800 metri all’11% minimo. Si sale dunque repentinamente quasi come sul “muro” di una classica del nord. Per darvi l’idea di quanto sia duro questo strappo, sappiate che Torriana nell’antichità era chiamata “Scorticata” per l’asperità dello spuntone di roccia, quasi del tutto privo di vegetazione, su cui è costruita la rocca. La fatica si farà sentire ma la vista ripaga. Nelle giornate di bel tempo si vedono tutta la verde valle del Marecchia da est a ovest, il fiume e il mare Adriatico. Non per niente l’altro appellativo di Torriana è: “Balcone della Valmarecchia”.
Per andare verso il castello di Montebello, dalla rocca di Torriana prendete via Castello e dopo quattro chilometri giungerete alla meta. Vi si presenterà di fronte un percorso vallonato, ricco di saliscendi ma meno impegnativo del precedente anche se l’ultimo tratto sarà ancora di salita perché Montebello è a 436 metri sul livello del mare. Avrete comunque il tempo di gustarvi il verde che vi circonda.
Azzurrina, il fantasma di Montebello
La rocca di Montebello è conosciuta per la leggenda del fantasma di Azzurrina. Si racconta che Guendalina, bimba di cinque anni e figlia del feudatario Uguccione (siamo nel 1375), fosse nata albina. Viveva reclusa nel castello, nascosta ai borghigiani che temevano la sua diversità. La madre, nel tentativo di dare colore ai suoi bianchi capelli, li tingeva di nero. Ma i capelli albini non trattengono il colore. Così assumevano delle sfumature azzurre e per tutti Guendalina era “Azzurrina”. Un giorno, la bimba stava giocando con una palla di stracci mentre fuori infuriava un temporale. Secondo la leggenda, avrebbe inseguito la palla caduta dalla scala all’interno della ghiacciaia cadendovi dentro. Quando si tentò di recuperare il corpo, non si trovò né la bambina, né la palla mentre il temporale sarebbe cessato nel momento stesso della sua scomparsa. E da quel momento sarebbe apparso il fantasma di Azzurrina.
Da quando il castello, che è stato dichiarato monumento nazionale italiano, è stato riaperto al pubblico, si eseguono costantemente ricerche e registrazioni audio/video per catturare suoni, rumori e immagini del fantasma. Queste vengono poi fatte sentire ai turisti al termine della visita guidata. E c’è chi giura di sentire il pianto di una bambina, oppure un urlo.
E l’ora degli strozzapreti!
Sulla strada del ritorno, fermatevi a gustare un piatto di strozzapreti romagnoli in uno degli ottimi ristoranti di Montebello o di Torriana. Gli strozzapreti, come tutte le pietanze che hanno una lunga storia, vengono mitizzati in diverse leggende. La più nota di queste racconta che nel periodo della dominazione dello Stato Pontificio durante il quale i gabellieri papalini erano soliti imporre tasse, nacquero gli strozzapreti
(strozaprit, in dialetto).Si narra che i prelati, non contenti di imporre tasse e balzelli pretendessero dalle azdore (termine che in dialetto romagnolo identifica le donne di casa) anche le uova. E così, queste, ritrovandosi all’improvviso senza materia prima per realizzare la pasta fresca, si sarebbero inventate una nuova ricetta a base soltanto di acqua e farina. Mentre preparavano l’impasto, si dice che le massaie augurassero al prete di strozzarsi, mangiando proprio le uova con cui avrebbero dovuto preparare la sfoglia per la famiglia. Stiamo dunque parlando di una ricetta molto povera, contenente solo acqua, farina e sale e che naturalmente è stata rivisitata in tanti modi diversi. Noi vi forniamo, qui di seguito, la preparazione originale.
Ingredienti: 400 g di farina; 200 ml di acqua tiepida; q.b. di sale.
Procedimento: disponete la farina sopra un tagliere, realizzando la classica forma a “fontana” con un buco al centro e aggiungendo l’acqua tiepida. Con una forchetta, iniziate a lavorare mescolando l’acqua con la farina: quando non è più possibile usare la forchetta, impastate con le punte delle dita e poi con i palmi fino a ottenere una massa morbida e liscia. Lasciatela riposare per almeno una decina di minuti, avvolta in una pellicola. Riprendete la pasta e, dopo averla schiacciata leggermente con le dita per darle una forma rotondeggiante, tirate una sfoglia spessa dai 2 ai 5 millimetri. Una volta stesa, tagliate con un coltello delle strisce di circa 1,5 centimetri di larghezza.
Inumiditevi le mani e arrotolate le strisce facendole scorrere tra i due palmi delle mani. Otterrete una sorta di vermicello. Rompete lo strozzaprete appena formato a una lunghezza di circa 5, massimo 8 centimetri e, appena pronti, disponeteli sopra un vassoio infarinato per fare in modo che non si attacchino tra loro. Cuoceteli in una pentola con abbondante acqua salata per circa 6/7 minuti, scolateli e poi passateli in padella con un buon sugo.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.