Dopo aver trattato la cucina dei walser e dei mocheni, popolazioni alloctone che migrarono tanti secoli fa in territori oggi italiani, in questo articolo del nostro blog parliamo dei cibi preparati da un’altra delle popolazioni “estere” facenti parte della attuale Repubblica italiana: gli occitani.
L’Occitania, detta anche Pays d’Oc (cioè dove si parlava la langue d’Oc e non la langue d’Oil che avrebbe originato il francese moderno), è un’area storico-geografica non delimitata da confini politici, sviluppatasi in una larga parte della Francia meridionale e nelle zone limitrofe delle odierne Italia e Spagna. Questa era dunque un’ampia regione che andava dall’Atlantico ai Pirenei, alla Provenza fino alle vallate piemontesi più a ovest. L’indipendenza di questi territori, vuoi che facessero parte del Sacro Romano Impero; vuoi che fossero incorporati al regno d’Aragona; vuoi che fossero dei feudi sostanzialmente autonomi, finì con la sconfitta di Pietro II d’Aragona per opera di Filippo il Bello Re di Francia e la conseguente acquisizione dei territori occitani da parte del Regno di Francia.
La storia degli occitani non terminò però lì perché queste popolazioni continuarono nel corso dei secoli, pur venendo spesso prese di mira per motivi politici o religiosi (in Occitania, in tempi diversi, si radicarono il catarismo, il protestantesimo valdese e quello ugonotto), a produrre documenti in lingua e poi arte e cultura, praticamente fino ai giorni nostri. Per questo blog, una delle sfaccettature più importanti della cultura occitana è senz’altro la cucina. Così, ci occuperemo delle ricette tipiche della cultura gastronomica occitana piemontese, tradizione che coinvolge diverse valli: dalla Val Varaita, alla Valle Maira; dalla Valle Grana alla Valle Stura, fino a Valle Po e Valle Bronda.
Uno dei prodotti più utilizzati nella cucina occitana, è la patata. Quella di Prazzo, in provincia di Cuneo, è usata per la preparazione dei Tundiret (gnocchetti di patate) realizzati con uova e farina e tuffati in acqua bollente. Sono morbidi e dalla forma irregolare, conditi con panna, burro e formaggio. Con la patata gli occitani preparano anche il Mato (o Mata), un’antica ricetta che prevede la cottura di una zucca (stufata con burro), patate lesse, porri e riso. Tutti gli ingredienti vengono lavorati separatamente e poi uniti a formare degli strati per la cottura in teglia di terracotta. E’ un piatto da condire con burro e formaggio, a volte con aggiunta di panna, in alcuni casi anche con salsiccia e verdure come le biete o gli spinaci. Ancora le patate per la preparazione delle Ravioles (gnocchi della Val Varaita) condite con burro e toma d’alpeggio.
Le zuppe occitane sono assolutamente corroboranti. La più prelibata è forse la Ola al forn, una minestra di legumi, verdure e carne, cotta nel tradizionale forno del pane che, una volta spento, mantiene le alte temperature anche per 48 ore, dando così modo di preparare altri piatti senza sprecare il calore. La zuppa cuoce per almeno 12-14 ore, solitamente di notte. Nell’Ola si sposano i borlotti secchi, i porri, la zucca, le cipolle, i pezzi più poveri del maiale, si aggiunge burro o olio d’oliva e aromi e si sala leggermente. Una volta preparata, si copre con un coperchio anch’esso di coccio e si lascia cuocere nel forno del pane ancora caldo o sul fuoco per almeno sette ore.
Tra le ricette dolci si possono citare i Subric, frittelle di semolino o patate o il Panet di mele, preparato per
la festa dei Santi: al centro dell’impasto del pane viene messa una mela. O, ancora, il dolce della Miando, una sorta di crème caramel, che si differenzia dalla ricetta tradizionale per l’aggiunta delle pere cotte nel vino bianco.
Probabilmente, il cibo tipico più conosciuto di queste valli occitane italiane è il formaggio Castelmagno Dop, consumato in grande abbondanza sulle tavole di tutta Italia. Può essere esclusivamente prodotto, stagionato e confezionato nel territorio amministrativo dei comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana in provincia di Cuneo. Dagli stessi comuni deve anche provenire il latte destinato alla trasformazione. Si presenta in forma cilindrica a facce piane del diametro di 15/25 centimetri e con un peso variabile dai 2 ai 7 chili. La crosta è sottile e liscia di colore giallo rossastra nelle forme più fresche e assume una conformazione rugosa e una colorazione bruna nelle forme più stagionate. La pasta, molto friabile e priva di occhiature, è di colore bianco avorio con la tendenza a una colorazione giallo ocrea e a presentare venature blu e verdi nelle forme più stagionate. La presenza di venature è dovuta allo sviluppo di speciali muffe che contraddistinguono i cosiddetti formaggi erborinati o a pasta blu. L’ erborinatura, termine che deriva dal vocabolo dialettale lombardo “erborin” e significa prezzemolo, nel Castelmagno si sviluppa naturalmente con la stagionatura senza necessità di inoculare muffe specifiche. Il sapore fine è delicato diventa forte e piccante man mano che aumenta il periodo di stagionatura.
È prodotto principalmente con latte vaccino di due mungiture consecutive (serale e mattutina), talvolta addizionato con latte caprino o ovino in percentuali che non superano mai il 20 per cento. Il latte, dopo l’addizione di caglio, viene portato a una temperatura variabile tra i 35 e i 38 gradi centigradi. Dopo la rottura della cagliata, si procede alla pressatura della forma e al suo avvolgimento in un telo asciutto. Questa viene appesa e infine posta in contenitori appositi. Terminata questa prima fase, si procede nuovamente alla rottura delle forme, che vengono salate, poste in fascere cilindriche e pressate. La stagionatura avviene in locali freschi e asciutti, oppure in grotte che presentino naturalmente queste caratteristiche.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.