Quello di Nino Bergese è un nome che non dirà molto a tanti appassionati di cucina ma se citiamo un piatto iconico come “L’Uovo in Raviolo” del San Domenico di Imola, tutti sapranno di cosa stiamo parlando: di una pietanza entrata nel menu del locale forse più famoso d’Italia negli anni ’70 e mai più uscita. Questo piatto è figlio dell’esperienza e della scienza di Nino Bergese soprannominato, ai suoi tempi, “cuoco dei re, re dei cuochi”. Allora, vogliamo scoprire chi era e cosa c’entra con il San Domenico?

Bergese, all’inizio fu il Conte Bonvicino

Giacomo Bergese, detto Nino, nasce a Saluzzo il 9 settembre del 1904 e muore a Genova, sua città d’elezione, nel 1977. Cresciuto in una famiglia numerosa e popolare, a quindici anni va a servizio del conte piemontese Bonvicino come aiuto giardiniere. Ben presto capisce di essere portato per la cucina e lì riesce a farsi trasferire. Troverà come maestro Giovanni Bastone, futuro cuoco di casa Agnelli. Bastone sarà una

figura di riferimento per Bergese per tutta la vita. In molte interviste, infatti, avrebbe poi dichiarato di tenere un diario dove annotava tutte le ricette e i segreti che riusciva a carpire da Bastone. Nel 1920 divenne aiuto cuoco del conte Costa Carrù della Trinità, rimanendo in questo “tirocinio” fino al 1926 quando fu assunto come primo cuoco (a soli ventidue anni!) dalla famiglia d’industriali cotonieri Wild, svizzeri trapiantati in Piemonte. Fu infine ingaggiato dai conti Arborio Mella di Sant’Elia, cerimonieri di Casa Savoia diventando ben presto uno dei più reputati cuochi dell’alta aristocrazia. In quel periodo cucinò anche per il principe Umberto di Savoia, per il quale preparò, in onore del suo compleanno, la torta fiorentina che gli fece guadagnare un premio di 500 lire e lo stemma reale. A questa lunga attività al servizio di famiglie nobili e facoltose si deve l’appellativo di “cuoco dei re e re dei cuochi”.

Bergese e “La Santa” a Genova

Bergese diventa dunque un personaggio nel mondo culinario d’elite. Arriva, però, la seconda guerra mondiale e, alla fine di questa, il “vecchio mondo” dell’aristocrazia e dell’alta borghesia italiana scompare, travolto dagli eventi e da qualche evidente colpa storica. Bergese non si perde d’animo e nell’amata Genova apre il ristorante “La Santa“, locale che otterrà le due stelle Michelin nel 1969 (allora nessun ristorante italiano aveva tre stelle Michelin) e si confermerà per anni come uno dei migliori d’Italia. È in questo minuscolo locale genovese che conquisterà i palati di Grace Kelly e degli Onassis, della Callas e di De Sica, solo per fare qualche nome fra i tantissimi che gli tributarono una visita.

Bergese, “Mangiare da Re”

In quello stesso 1969, Bergese incrocia un altro personaggio molto noto in quegli anni: l’editore Giangiacomo Feltrinelli che gli propone di raccogliere tutte le ricette da lui conosciute in un libro. Nasce così “Mangiare da re“, disponibile anche in altre successive edizioni e suddiviso in tredici sezioni: basi di cucina e salse, antipasti e primi, antipasti e piatti di mezzo, minestre, carni, pesci, crostacei e molluschi, farce e chenelle, uova, crêpes, legumi e contorni, insalate, pasticceria e dessert. L’incontro fra i due è quantomeno singolare: Bergese è figlio del popolo e per tutta la vita ha avuto a che fare con la nobiltà che, di fatto, l’ha assimilato. Feltrinelli viene da una famiglia di ricchi marchesi e fonda i GAP, i gruppi d’Azione Partigiana, una delle prime formazioni armate rivoluzionarie di quei difficili anni. Un incredibile doppio ribaltamento sociale.

Bergese e il San Domenico

Nel 1974 Bergese ha 70 anni, decide di chiudere La Santa e vorrebbe ritirarsi ma, a questo punto,

Tuorlo d’uobvo in raviolo alla Nino Bergese.

irrompe sulla scena Gianluigi Morini, proprietario del ristorante San Domenico di Imola che lo convince a intraprendere questa nuova avventura che gli farà guadagnare altre due stelle Michelin. Il suo allievo sarà Valentino Marcattilii, ancora oggi attivo nella cucina imolese. Marcattilii impara da lui quello che poi diventerà il piatto iconico del San Domenico: “L’Uovo in Raviolo”. “La nascita di questo ristorante – raccontò poi Valentino – fu una sfida da pazzi in una città di pazzi. Qui c’erano più ospedali psichiatrici che teatri. Quando i primi clienti non ci trovavano e chiedevano informazioni, molti imolesi li invitavano a lasciar perdere e a cercare un posto meno caro. Ma nei momenti di difficoltà, Imola ci ha sempre sostenuto”. Il mix del San Domenico è rivoluzionario e perfetto. Piatti curatissimi, né tradizionali né internazionali, legati semmai ai gusti raffinati delle grandi casate aristocratiche e imprenditoriali. Paste, arrosti, qualche piatto di mare, tanto altro. “Chiunque, almeno per un giorno, ha diritto di cenare come un re” – sosteneva Morini.

La cucina di Bergese

I piatti di Nino Bergese al San Domenico sono un esempio di alta cucina, nel senso un po’ datato del termine. Bergese, infatti, figlio dei suoi tempi nonché dell’eredità sabauda, strizza l’occhio alla vicina cucina francese, proponendo sue personali rivisitazioni. Tra le sue realizzazioni più conosciute, oltre all’iconico “Uovo in Raviolo” si ricordano: le costolette d’agnello alla Villeroi (che prima di venire impanate e fritte vengono ripassate nella besciamella), le sogliole allo champagne, le chenelle di nasello con salsa olandese, la brandade di baccalà (a metà strada tra la ricetta originale provenzale e quella veneta del baccalà mantecato), le uova in sorpresa (riempite con ragù di carne, panna e Marsala).

L’addio di Bergese

Nel maggio del 1977 una micidiale forma di cirrosi fulminante si porta via Bergese in pochi giorni. È un colpo terribile per il San Domenico, ma Valentino Marcattilii è ormai pronto per diventare primo chef. Così, tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta la fama del ristorante imolese tocca i massimi. “Pensate a quanti cuochi si sono formati in questa cucina”, dice oggi il top chef Massimo Bottura che è un habitué dei pranzi natalizi al San Domenico con la sua famiglia.

Per quel che riguarda Nino Bergese, dopo la sua morte gli sono state intitolate diverse scuole alberghiere, tra le quali una a Genova, città amatissima ove trascorse i suoi ultimi giorni. Restano poi i suoi piatti e il ricordo legato a diverse serate che si tengono in suo onore durante le quali la sua cucina viene ricordata e rivisitata.