Nel corso degli anni, in questo blog abbiamo cercato di raccontare cibi e piatti particolari, a volte quasi sconosciuti. Oggi parliamo della pitina, un prodotto unico della tradizione gastronomica friulana, originaria della Val Tramontina, una valle incastonata nelle Prealpi Carniche della provincia di Pordenone. Questo particolare salume affumicato ha una storia secolare legata alla vita contadina e pastorale di queste montagne e rappresenta oggi una delle eccellenze culinarie del Friuli Venezia Giulia. Il suo carattere distintivo, il legame con il territorio e il processo di produzione tradizionale le hanno permesso di ottenere, nel 2017, il riconoscimento di prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Origini della pitina: una storia di necessità
Le origini della pitina risalgono al XIX secolo, quando le difficili condizioni ambientali e la povertà delle zone montane spingevano le popolazioni locali a trovare metodi di conservazione del cibo che potessero garantire una scorta di alimenti per i lunghi e rigidi inverni. Le famiglie contadine e pastorali, infatti, non sempre disponevano di suini, animali più costosi da allevare, e quindi facevano affidamento su altri animali come capre, pecore, cervi, camosci e caprioli, che si trovavano più facilmente nei pascoli o nei boschi della zona.
In questo contesto nasce la pitina: una sorta di polpetta di carne macinata, aromatizzata con erbe locali e avvolta in farina di mais, successivamente affumicata per essere conservata a lungo. Questo processo di affumicatura avveniva tipicamente in cucina, dove il fumo del camino (quest’ultimo veniva usato anche per riscaldare l’ambiente), contribuiva alla conservazione del salume. Questo metodo artigianale e ingegnoso permetteva alle famiglie di mantenere la carne per mesi, senza l’uso di conservanti chimici.
La ricetta tradizionale
La ricetta della pitina è rimasta sostanzialmente invariata nel corso del tempo anche se oggi, grazie ai controlli di qualità e alle normative che regolano i prodotti IGP, è prodotta con maggiore attenzione alle norme igienico-sanitarie. La carne utilizzata per la sua produzione è principalmente ovina, caprina o di selvaggina, alla quale viene aggiunta un po’ di carne suina per migliorare la consistenza e il gusto.
Il procedimento tradizionale inizia con la macinatura della carne, alla quale si aggiungono sale, pepe, aglio, vino rosso e un misto di erbe aromatiche locali, come il peverel, una varietà di timo selvatico che cresce spontaneamente nei prati delle montagne friulane. Una volta impastata, la carne viene modellata a forma di polpetta o, più raramente, di piccolo salame. Queste “polpette” vengono poi passate nella farina di mais, che forma una sorta di crosta esterna e infine sottoposte all’affumicatura.
L’affumicatura è un passaggio cruciale nella preparazione della pitina, poiché conferisce al prodotto il suo caratteristico sapore affumicato. Questa fase, che dura solitamente da uno a tre giorni, viene eseguita con legno di faggio o ginepro, tipici della zona e non come in passato nelle cucine delle case montane, come abbiamo appena detto, ma in ambienti più controllati.
La pitina oggi: fra tradizione e innovazione
Sebbene la pitina sia nata come alimento della sopravvivenza, oggi è considerata una vera e propria prelibatezza gourmet. Grazie al suo sapore deciso e alle sue caratteristiche uniche, è entrata a pieno titolo nei menu di ristoranti stellati e nelle cucine degli chef più creativi, che la utilizzano in preparazioni innovative. Tuttavia, nonostante questo successo, ha mantenuto un forte legame con le sue origini e con il territorio friulano.
Il riconoscimento IGP ha contribuito a proteggerla e valorizzarla, garantendo che il prodotto sia autentico e rispetti i metodi di produzione tradizionali. La pitina può essere prodotta esclusivamente in alcuni comuni della Val Tramontina e della Val Cellina come Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto, Meduno, Claut e Andreis, dove le condizioni climatiche e ambientali sono ideali per la sua produzione.
Oggi, accanto alla pitina tradizionale, prodotta con carni ovine o caprine, esistono anche varianti con carne di cervo, capriolo o cinghiale, che offrono sapori ancora più intensi e caratteristici. Inoltre, la lavorazione artigianale e il rispetto delle ricette originali continuano a essere punti fermi della produzione, anche se alcune aziende stanno sperimentando tecniche più moderne per migliorare ulteriormente la qualità del prodotto.
Come gustare la pitina
La pitina è un prodotto molto versatile in cucina. Può essere consumata da sola, tagliata a fette sottili come un salume, magari accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso friulano come un Refosco dal peduncolo rosso, o utilizzata in numerose ricette tradizionali e innovative. Ad esempio, è ottima abbinata alla polenta, un altro piatto simbolo della cucina friulana, o può essere utilizzata come ingrediente in zuppe, risotti e piatti di pasta.
Grazie al suo sapore affumicato, si presta anche a essere accompagnata da formaggi stagionati e miele, per creare contrasti di gusto interessanti. Non è raro trovare nei ristoranti del Friuli piatti che utilizzano la pitina in modo creativo come insalate gourmet, involtini o persino pizze.
Un’altra particolarità è che può essere cotta, a differenza di molti altri salumi. Infatti, viene spesso grigliata o rosolata in padella, il che ne esalta ulteriormente i sapori affumicati e la rende particolarmente adatta a piatti invernali o rustici.
Un simbolo di identità culturale
La pitina non è solo un prodotto gastronomico ma anche un simbolo dell’identità culturale del Friuli e in particolare delle sue zone montane. Per la gente della Val Tramontina rappresenta un legame con il passato, un modo per ricordare le difficoltà affrontate dai loro antenati e il loro ingegno nel trovare soluzioni a problemi quotidiani. In questo senso, è molto più di un semplice alimento: è una testimonianza della storia e delle tradizioni di un territorio che, nonostante le difficoltà, è riuscito a mantenere vive le sue radici. Ogni morso di pitina racconta una storia di resistenza, di adattamento e di rispetto per la natura e per le risorse che essa offre.
L’immagine di copertina è di Holopaco77 ed è tratta da commons.wikimedia.org.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.