“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. È una frase che abbiamo sentito pronunciare o trovata scritta decine e decine di volte. È talmente dentro il lessico comune che ha dato vita anche a delle reiterazioni tipo: “Dimmi cosa ti piace e ti dirò chi sei”; “Dimmi cosa compri e ti dirò chi sei”; “Dimmi cosa guardi…” ecc. ecc. Insomma, nel vasto panorama delle massime e dei detti celebri che permeano la cultura umana, poche sono altrettanto evocative e significative quanto questa frase. Evidentemente, un aforisma dalle radici profonde che si è diffuso attraverso i secoli, diventando un mantra e un punto di partenza per riflessioni su identità, cultura e alimentazione. Ma chi fu il primo a pronunciarla?
In principio fu Jean Anthelme Brillat-Savarin
Prendiamo il discorso un po’ alla lontana perché per trovare l’origine di questa massima, dobbiamo fare un
viaggio nel passato e attingere dalle fonti storiche disponibili. La frase, espressa con queste esatte parole, nella sua forma più nota, è stata scritta da Jean Anthelme Brillat-Savarin.
Brillat-Savarin, era nato a Belley, un paesino che oggi conta circa 10mila abitanti, ai piedi delle Alpi. Seguendo la tradizione familiare si era laureato il Legge e nel 1789, anno della Rivoluzione francese, era stato anche eletto deputato all’Assemblea Costituente, il primo organo democratico di quel Paese. Dopo di che fu nominato pure consigliere della Corte di Cassazione. Durante il periodo del Terrore riparò prima in Svizzera e poi a New York. Tornato in patria dopo l’instaurazione del primo Direttorio, riebbe la carica di consigliere di Cassazione e fu anche insignito della Legion d’Onore. Insomma, Brillat-Savarin era un personaggio politico importante in quegli anni davvero complessi che stavano “costruendo” la Francia.
La “Fisiologia del Gusto”
Però, se adesso lo ricordiamo, non è per la sua competenza legislativa ma per un suo libro: “La Fisiologia del Gusto”. Pubblicato nel 1825, è ancora oggi considerato un classico della letteratura gastronomica. In questo testo, il cui titolo completo, alla faccia dell’essenzialità è: “Physiologie du Goût, ou Méditations de Gastronomie Transcendante; ouvrage théorique, historique et à l’ordre du jour, dédié aux Gastronomes parisiens, par un Professeur, membre de plusieurs sociétés littéraires et savantes” (Fisiologia del gusto, o meditazioni della gastronomia trascendente; opera teorica, storica e di attualità, dedicata ai gastronomi parigini, di un professore, membro di diverse società letterarie ed erudite), in questo testo, dicevamo, il nostro buon Jean Anthelme esplora non solo l’arte del mangiare, ma anche il legame tra cibo, cultura e identità. La frase “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” che si trova nel quarto dei suoi aforismi a prologo del testo è, di fatto, una sintesi delle idee da lui espresse in questo lavoro. Egli intende suggerire che le scelte alimentari di una persona riflettano non solo i suoi gusti personali, ma anche la sua cultura, il suo background sociale e persino la sua salute mentale ed emotiva.
Balzac e Feuerbach dicono che…
Questa opera fu presa molto sul serio fin da subito, tant’è che Honorè de Balzac, non un pinco pallino qualsiasi, affermò che Brillat-Savarin: “Scrive con amore, la sua parola è solenne come la messa di un vescovo”. Alcuni storici della filosofia pensano che anche il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach nel suo lavoro “L’Essenza del Cristianesimo”, pubblicato per la prima volta nel 1841, sia stato in parte influenzato dalla lettura de “La Fisiologia del Gusto”. Feuerbach nel suo libro discute del modo in cui le persone concepiscono e immaginano Dio, e sostiene che la dieta e le abitudini alimentari delle persone influenzino la loro percezione del divino”.
Capire il cibo per capire un popolo
L’aforisma di Brillat-Savarin non tocca solo la sfera dell’individuo. In realtà, vuol dire che il cibo è espressione materiale della cultura di un intero territorio o Paese. Il suo nome, gli ingredienti, come e quando viene preparato e mangiato, mostra un vero e proprio prodotto sociale che crea un legame fra le persone e un’identità. Non è forse vero che quando viaggiamo, oltre a scoprire le bellezze artistiche e naturali del posto che visitiamo, ne assaggiamo anche le specialità culinarie per comprendere appieno la cultura di quel luogo? Possiamo davvero capire i greci se, oltre a visitare il Partenone, Delfi, Micene, non assaggiamo anche la Moussaka? Visitare Valencia e i suoi monumenti è sufficiente per conoscere lo spirito della città o è meglio aggiungere una paella e farsi raccontare la sua storia? Ecco… la frase di Brillat-Savarin vuol dire anche questo: ogni territorio ha una sua identità e solo gustando il cibo di quella parte di mondo potremo capire meglio chi abbiamo di fronte.
Brillat-Savarin oggi è anche un formaggio
Il nostro Jean Anthelme morì nel 1826, poco dopo la pubblicazione de “La Fisiologia del Gusto” ma, come
abbiamo visto, il suo lavoro ha ancora oggi un impatto duraturo sulla gastronomia e sulla filosofia del cibo. La sua frase rimane incisa nella mente delle persone, trasformandosi in un proverbio popolare che continua a suscitare riflessioni e discussioni anche ai giorni nostri. L’importanza di Brillat-Savarin nel mondo gastronomico francese è tale che nel 1930, un casaro d’Oltralpe di nome Henri Androuet, in onore di questo “gastrosofo” decise di cambiare il nome a un formaggio che prima si chiamava Excelsior in Brillat-Savarin. Nel 2017 questo formaggio ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta (Igp) dalla Commissione Europea. Un altro successo per l’avvocato di Belley.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.