L’arancia (o arancio, come preferite) è davvero il frutto re dell’inverno. “Mangia un’arancia! Fatti una
spremuta d’arancia!”. Sono queste le raccomandazioni di mamme e nonne rivolte a figli e nipoti quando il freddo si fa più intenso. E’ davvero un buon consiglio, mangiare arance in questa stagione? Certo che sì! Composte al 90% da acqua, le arance hanno pochissime calorie. Sono invece ricche di minerali come potassio, ferro, calcio, fosforo e soprattutto sono una miniera di vitamina C: 100 grammi di arancia apportano circa il 55% del fabbisogno giornaliero. La vitamina C, come abbiamo già scritto diverse volte, ha molteplici proprietà benefiche sull’organismo: rafforza il sistema immunitario contro virus e batteri, previene l’insorgere di disturbi cardiovascolari, combatte l’attività dei radicali liberi, migliora l’assorbimento del ferro ed ha anche proprietà antianemiche. Per sfruttare al meglio i benefici della vitamina C contenuta nelle arance, sarebbe meglio non eliminare completamente la parte bianca che si trova sotto la buccia: questa, infatti, contiene una sostanza che ne favorisce l’assimilazione. Un’altra vitamina di cui le arance sono ricche è la vitamina A che è molto utile alla vista.
Qual è la storia di questo frutto? Tutte le fonti concordano nell’indicarne il sud est asiatico e la Cina come luoghi di origine. Sarebbe nato da un incrocio fra il pomelo e il mandarino e sarebbe stato importato in Europa solo nel XV secolo da marinai portoghesi. Ma qui la storia si scontra con la letteratura e con la mitologia perché antichi testi romani parlano di questo frutto già nel primo secolo dopo Cristo. Ancora prima, la mitologia greca ci racconta che quando Zeus prese in sposa Era, questa gli donò una pianta dai cui rami pendevano pomi d’oro, le arance. Il padre degli dei, per paura che questa potesse essergli sottratta, decise di nasconderla al sicuro nel giardino delle Esperidi. A difesa del
giardino collocò un serpente con cento teste, il drago Ladone, che però non riuscì a impedire a Ercole di rubare i pomi per portare a termine la sua undicesima fatica. Ercole fece dono delle arance agli uomini e questi cominciarono a coltivarle. Non solo, il dono di Era a Zeus diventò nel tempo simbolo di purezza e fedeltà coniugale e per questo l’arancia è il fiore simbolo del matrimonio. Infatti, si dice: “fiori d’arancio” per le coppie che si sposano. Con tali precedenti, è difficile pensare che in Europa non si conoscesse l’arancia prima del Quattrocento. Invece, è possibile che attraverso gli scambi continui fra Oriente e Occidente per mezzo di mercanti arabi che percorrevano la via della seta, l’arancia (o i suoi semi), fossero giunti fino alla Grecia e poi nelle colonie elleniche siciliane dove però la coltivazione si sarebbe poi fermata, non trovando in zone più a nord il clima adatto. Sarebbero poi stati i portoghesi a riscoprire questo frutto durante i loro viaggi commerciali e militari nel XV secolo, importandolo in patria e nelle loro colonie.
E, se ci fate caso, in molte zone del mondo l’arancia si chiama con un nome che ricorda direttamente lo stato lusitano, a sottolinearne la provenienza. In rumeno, arancia si dice “portocală”; in albanese “portokall”. In arabo la parola usata per parlare delle arance è برتقال, (pronuncia: burtuqāl), che ha soppiantato del tutto la parola persiana نارنج, “nāranğ” da cui derivano, invece, l’italiano “arancia”, lo spagnolo “naranja”, e “narancs” in ungherese. Nella nostra Penisola, poi, in alcuni dialetti arancia diventa purtualli o partajalli (Abruzzo); portugalli in certe zone della Calabria; portugaj in Piemonte. Nel dialetto bergamasco portogàl; nel lodigiano purtügàl. Da noi nella bassa Romagna le arance si chiamano “al partugali”.
L’arancia è l’agrume più diffuso nel mondo e se ne coltivano centinaia di varietà. Alcuni frutti sono a polpa bionda
(ovale, bionda comune, navelina, washington navel, ecc.), altri a polpa rossa per via dei pigmenti antocianici in essi contenuti (moro, tarocco, sanguinella), alcuni sono più grandi e più belli, altri di aspetto più modesto e dalla buccia più sottile, ma più succosi e dunque adatti per spremute. Solo in Italia, più di venti varietà vengono coltivate come frutta da tavola e altrettante per spremuta. Comunque, le arance dolci non vengono consumate solo come frutta fresca ma, soprattutto nel caso di quelle a polpa bionda, sono utilizzate per la produzione di succhi e, durante la lavorazione, la buccia viene sfruttata per estrarne l’olio essenziale in essa contenuto e, in misura minore, per la produzione di canditi e frutta essiccata.
Naturalmente l’arancia è anche molto sfruttata in cucina. Alcune ricette sono ormai un classico (vedi l’anatra all’arancia). Noi vi proponiamo un primo piatto dal sapore particolare ma gradevole: il risotto all’arancia. Questi gli ingredienti necessari: 400 grammi di riso carnaroli; 60 grammi di burro; un’arancia; una cipolla; 40 grammi di parmigiano reggiano grattugiato; un litro di brodo vegetale; vino bianco, prezzemolo, sale e pepe q.b. Questa la preparazione: la scorza dell’arancia andrà ridotta in piccoli bastoncini e poi messa a bollire in un tegame con dell’acqua. Quando si sarà ammorbidita un po’, scolatela. Prendete l’arancia così sbucciata ed estraetene il succo, filtrandolo con un colino. Tritate finemente la cipolla. Prendete una casseruola e sciogliete il burro nel quale farete poi soffriggere la cipolla. Quando questa sarà appassita, aggiungete il riso. Fatelo tostare per due minuti e poi sfumate con il vino bianco. Quando questo sarà evaporato, potete aggiungere il succo d’arancia e fare proseguire la cottura. Mescolate di tanto in tanto per non fare attaccare il riso ma soprattutto per evitare che si asciughi troppo il sugo di cottura. Mentre il risotto si cuoce, tritate finemente il prezzemolo. Quando il risotto all’arancia sarà quasi pronto, aggiungete il prezzemolo, aggiustate di sale e di pepe e infine mantecate con un altro po’ di burro e del parmigiano reggiano grattugiato. Amalgamate per bene il vostro risotto all’arancia e servitelo con qualche filo di scorza d’arancia e del prezzemolo come decorazione del piatto.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.