Il prosciutto di Parma è una delle tante eccellenze dell’Emilia-Romagna e, senza ombra di dubbio, una delle Dop (Denominazione
d’origine protetta) più prestigiose della Regione. Si dice che la carne di maiale sia grassa ma non è sempre vero. Il prosciutto crudo, e quello di Parma in particolare, è inserito in tantissimi tipi di diete ed è molto consigliato per gli sportivi: cento grammi contengono circa 150 chilocalorie. Piuttosto, Il prosciutto di Parma è un prodotto ricco di grassi insaturi, quelli che fanno bene, e di antiossidanti naturali che inibiscono l’azione dei radicali liberi, causa d’invecchiamento cellulare. Contiene in gran quantità vitamina E, B1, B6, B12 e PP. Il disciplinare di produzione, sul quale vigila il Consorzio del Prosciutto di Parma, prevede che non si utilizzino né conservanti, né additivi oltre che sostanze potenzialmente tossiche come i metalli pesanti. Insomma, il Parma è ricco di proprietà nutrizionali ed è consigliato in tutte le diete per il basso contenuto di grassi e l’alta digeribilità. E’ più magro degli altri tipi di prosciutto perché viene lavorato in un modo particolare che elimina tutto il lardo dalla groppa del suino. Tra i suoi valori nutrizionali, si evidenzia l’alto contenuto proteico. Le proteine, in questo tipo di prosciutto, sono il 25,9 %. Un valore che sale anche al 29,1 % in quello sgrassato. Per ciò che riguarda i sali minerali, sono presenti quantità significative di potassio, fosforo, zinco, selenio e ferro. Tutte queste proprietà lo rendono un alimento adatto a tutti: bambini, anziani, sportivi e a chi abbia difficoltà nella digestione delle proteine.
Come si fa il prosciutto di Parma? Innanzitutto, si utilizzano maiali di due razze tradizionali: la Large White e la Landrace (età minima nove mesi e peso medio di 160 chili), nutriti con alimenti quali granturco, orzo e siero derivato dalla produzione del Parmigiano Reggiano. Gli allevamenti devono obbligatoriamente trovarsi nella provincia di Parma, in una zona che si trova a sud della via Emilia, delimitata a est dal torrente Enza e a ovest dal torrente Stirone. Anche la lavorazione deve avvenire nella zona tipica di produzione e comprende diverse fasi:
Raffreddamento. Dopo la macellazione, la coscia viene messa a raffreddare in una cella frigorifera per 24 ore, in modo che la carne si rassodi. Non sono ammessi altri trattamenti di conservazione. Rifilatura. Sì dà la tipica forma tondeggiante e si eliminano parte del grasso e della cotenna. Salatura. La coscia è inviata negli stabilimenti di stagionatura per la salagione che viene eseguita dai “maestri salatori” con sale umido sulla cotenna e sale asciutto sulle parti magre. Nient’altro. Riposo. La coscia salata viene lasciata riposare per 60-80 giorni in una cella frigorifera a temperatura e umidità controllate. In questa fase il sale penetra in profondità distribuendosi all’interno della massa muscolare. Lavatura e asciugatura. Dopo esser stata lavata con acqua tiepida per togliere eventuali residui di sale o impurità, la coscia viene fatta asciugare in appositi “asciugatoi”. Pre-stagionatura. Il prosciutto viene appeso ad appositi strumenti, le “scalere”, in grandi stanze in cui le finestre vengono aperte a seconda dell’umidità per permettere un’asciugatura graduale del prodotto. Sugnatura. La coscia viene battuta per perfezionare la forma tondeggiante e viene cosparsa di sugna, un prodotto a base di grasso con sale e pepe. Questa procedura evita una asciugatura troppo rapida e mantiene morbido il prosciutto. Stagionatura. Il prosciutto viene sistemato in apposite cantine, dove stagionerà per 10-12 mesi a seconda della pezzatura. Sondaggio e marchiatura. Trascorsi questi mesi, gli ispettori del prosciutto di Parma effettuano gli accertamenti, ai quali seguirà la marchiatura del prodotto ritenuto idoneo.
Come potete notare, ci sono grande maestria artigianale e tanto lavoro dietro a una fetta di prosciutto. Una sapienza antica che ci
arriva dai tempi dell’antica Roma. Varrone, nel suo “De Re Rustica”, ricorda come Parma fosse già allora conosciuta per gli allevamenti di maiali e la produzione di prosciutti salati. Il procedimento era simile a quello attuale come ricorda Catone, nel “De Agri Cultura”. Anche l’etimologia del nome “prosciutto” è latina. Secondo alcuni linguisti, la parola è composta dalla particella “pro” e dal participio passato latino exsuctus col significato di “seccato prima”. Altri traducono dalle espressioni prae suctus (succhiato) o perexsuctum (asciugato).
In ogni caso, la prima vera “tradizione ordinata” su come produrre il prosciutto di Parma arriva solo alla fine del medioevo, quando la corporazione dei Lardaroli si distacca dalla più forte corporazione dei Beccai. Da allora in poi il prosciutto crudo di Parma viene citato in tanti testi di cucina e di costume fino ai giorni nostri.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.