Nel 2018, l’Emilia-Romagna ha riconosciuto la “Pagnotta di San Martino” tra i prodotti agroalimentari tradizionali della Regione. A spingere fortemente per questo riconoscimento sono state le Pro Loco di Montecolombo e di Montescudo, due Comuni della Valconca (un territorio collinare alle spalle di Riccione), che si sono fusi ufficialmente a partire dal primo gennaio 2016.
A quel tempo, i due enti spiegarono che si trattava di un passo fondamentale per la tutela e la conservazione di un particolare prodotto della tradizione enogastronomica contadina, nonché per la sua commercializzazione. Questo perché la “Pagnotta di San Martino” è tipica del periodo autunnale, ottenuta con ingredienti che le famiglie contadine potevano reperire solo al termine dell’annata agraria, cioè fra le festività dei morti e l’11 novembre, giorno di San Martino. Ma, soprattutto, perché la preparavano e la preparano solo a Montecolombo e in poche borgate vicine.
La sua ricetta è gelosamente custodita. Nel senso che le poche famiglie e i pochi fornai che la conoscono, la tramandano oralmente, di generazione in generazione, con tutte le piccole varianti che sono tipiche della “fantasia” di ogni professionista o di ogni azdora. A oggi, si calcola che non siano più di una cinquantina fra pasticceri e panificatori in grado di preparare la vera Pagnotta di San Martino e che ne preparino non più di duecento chilogrammi ad ogni mese di novembre. A questi benemeriti possiamo aggiungere, forse, un’altra cinquantina di persone, soprattutto donne, sparse nella provincia di Rimini. La stessa Regione Emilia-Romagna, quando ne ha riconosciuto la tipicità, si è astenuta dall’indicarne che la ricetta, proprio perché segreta. Ma noi ve la forniremo perché vogliamo che questo tradizionale dolce contadino non venga dimenticato e non diventi, in futuro, un testo su un vecchio libro di cucina capace di incuriosire solo qualche storico dell’enogastronomia. Un po’ quello che è successo alla salsiccia gialla di Modena della quale abbiamo raccontato la scorsa settimana: non ci fosse stato un giovane cuoco di Campogalliano a riproporla, sarebbe rimasta sconosciuta agli stessi abitanti della Ghirlandina.
Stiamo parlando di un dolce contadino, legato alla stagionalità e al faticoso lavoro nei campi, perciò dal rilevante contenuto calorico. Si racconta che in questo periodo di raccolta delle olive, i contadini di Montecolombo non tornassero a casa per il pranzo e che, a volte, il loro pasto fosse costituito proprio da spesse fette di questa pagnotta, così ricca d’ingredienti corroboranti. Pare poi che alcune famiglie la lasciassero seccare sopra un armadio o una credenza, preferendo mangiarla indurita.
La ricetta che vi proponiamo ci è stata fornita dalla signora Rita Bucci. Rita, che oggi vive a Pesaro e che ho il piacere di conoscere fin da quando eravamo bambini, abitava di fronte a casa di mia madre in un gruppo di quattro case poco sopra il fiume Conca, tra le frazioni di Taverna (Montecolombo) e Santa Maria del Piano (Montescudo). Le famiglie erano quelle degli Ugolini, dei Bianchini (la famiglia di mia madre), dei Bucci, dei Magnani e dei Diotallevi (zii della mamma). Rita ha appreso la ricetta da sua mamma, Luciana Giovanetti la quale, a sua volta, l’aveva appresa da sua mamma Cristina, fornaia a Taverna.
Questi gli ingredienti necessari per un chilo e mezzo di farina 0:
tre etti di lievito
due bicchieri di olio d’oliva
due bicchieri di vino bianco tiepido
300 grammi di noci tagliate grossolanamente
300 grammi di uva sultanina (originariamente si usava l’uva bianca passita)
una busta di Mistura
sale quanto basta
pepe quanto basta
un cucchiaio di zucchero
A questi ingredienti, bisogna aggiungere un “lievito” che andrà unito all’impasto della pagnotta composto da:
200 grammi di farina 0
Mezzo cubetto di lievito
Un pizzico di sale
Questi tre elementi vanno amalgamati con acqua calda e fatti lievitare per una notte per poi essere aggiunti, come detto, all’impasto della pagnotta la mattina.
Procedimento:
La mattina, su un tagliere preparate l’impasto creando la fontanella con farina, aggiungete il “lievito” della sera prima, sciolto nel vino tiepido e poi aggiungete l’olio, i tre cubetti di lievito anch’essi sciolti nel vino, aggiungete le noci, la Mistura, sale, pepe e per ultima, l’uva passa. Impastate tutto e formate dei panetti che poi farete lievitare in delle teglie per tre o quattro ore sotto una tovaglia calda e una coperta di lana. Passato questo tempo, infornate a 250 gradi. La cottura dovrebbe durare circa un’ora. Infine, tirate fuori la vostra “Pagnotta di San Martino” dal forno e lasciatela riposare su un padellone caldo finché non si raffredda.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.