Il maiale in porchetta è un piatto della tradizione di tutta l’Italia centrale mentre il coniglio in porchetta ne è una variante che ha attecchito solo nella Bassa Romagna (Cesenate e Riminese) e nelle Marche di Pesaro e Urbino. Si tratta di una variazione piuttosto recente. Non ci sono, infatti, testimonianze dirette dell’esistenza del “coniglio in porchetta” prima della fine del Settecento quando, seguendo i dettami della cucina francese dell’epoca, anche in Italia i cuochi iniziarono a cucinare il coniglio che, fino a quel momento, era piuttosto considerato solo come animale dal quale ottenere della pelliccia. Il maiale in porchetta, invece, ha una storia che arriva addirittura dalla Roma imperiale. Ci viene testimoniata da grandi scrittori dell’epoca e la sua ricetta ha subito notevoli variazioni nel corso dei secoli, come succede per tutte le pietanze di origine antica. Cerchiamo di andare con ordine.
Petronio, nel Satyricon (scritto nel primo secolo dopo Cristo), immagina delle esageratamente abbondanti cene a casa di Trimalcione, un personaggio di fantasia la cui figura, oggi,
sarebbe paragonabile a quella di un uomo arricchitosi ma rimasto grezzo nei modi. Durante queste fantomatiche cene, vengono servite due pietanze che potremmo considerare le “antenate” della porchetta. Scrive Petronio: “… Subito dopo li segue un vassoio in cui è deposto un enorme cinghiale con in testa un berretto da schiavo affrancato, dalle cui zanne pendevano due piccoli cesti intrecciati di foglie di palma, pieni l’uno di datteri freschi e l’altro di datteri secchi. Tutto intorno dei piccoli maiali di pasta, che quasi attaccati alle mammelle indicavano che si trattava di un cinghiale femmina. E questi erano doni destinati agli ospiti da portar via. Poi a tagliare il cinghiale non venne lo scalco che aveva trinciato i polli ma un gigante barbuto, con le gambe avvolte di fasce e un mantello damascato sulle spalle. Impugnato un coltello da caccia colpì con forza il fianco del cinghiale e dalla ferita uscirono volando dei tordi”.
E ancora: “… E subito dopo Trimalcione meraviglia ancora i suoi commensali. A tavola viene infatti portato un altro vassoio con un maiale ancora più grande del cinghiale. Un maiale intero, non ancora sventrato, che provoca la collera del padrone di casa che, prima grida aspramente contro il cuoco poi l’invita a sventrarlo. A quel punto, dal ventre squarciato, fra la sorpresa generale, mano a mano che i tagli si allargano saltano fuori salcicce e cotechini in grande quantità”.
La due pietanze tratteggiate da Petronio hanno in comune con la porchetta moderna solo il fatto che il maiale è cucinato arrosto intero, mentre le farciture sono davvero… un’altra cosa. Più vicino al gusto moderno pare essere il “porcellum farcilem” descritto da Apicio nel suo ricettario. Marco Gavio Apicio è un cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il primo e secondo secolo dopo Cristo e rappresenta, per gli storici del settore, la fonte principale di conoscenza sulla cucina romana. Egli cataloga due modi per preparare questo porcello. Il primo prevede l’utilizzo di due farciture: quella che lui chiama “farcia tarantina” (pepe, bacche d’alloro, ruta, laser, garum di ottima qualità, vincotto e olio, da inserire sotto pelle), e una seconda farcitura collocata al posto dello stomaco, degli intestini e delle frattaglie composta di pepe pestato e in grani, ligustico, origano, un pizzico di radice di laser, cervella cotte, uova crude, semola cotta, sugo di cottura, uccellini e, volendo, pinoli. Una volta farcito, il maialino va legato e messo nel forno.
Il secondo modo, più semplice, lo descrive semplicemente così: “maialino in altro modo: sale, cumino, laser”.
Negli anni che vanno dal 430 al 439 Macrobio, altro scrittore romano, scrive i Saturnalia. Sono sette libri nei quali egli immagina dotte discussioni fra importanti personaggi
dell’epoca su religione, letteratura, storia e tanto altro. Queste amabili dissertazioni si tengono a tavola (i Saturnalia erano festività che si celebravano dal 17 al 23 dicembre. Iniziavano con grandi banchetti ed era usanza scambiarsi dei piccoli doni detti “strenne”. A nessuno sfuggirà la somiglianza con la parte “festaiola” del Natale cristiano). Macrobio descrive anche alcune portate di questi pranzi. Una di queste è il “porcus troianus”. Egli lo porta a cattivo esempio di lusso smodato a tavola rimproverando i suoi contemporanei perché il maiale cotto, nascondeva al suo interno altri animali arrosto chiusi nel suo ventre. Proprio come il cavallo di troia nascondeva guerrieri Achei nell’Odissea. Era per lui uno sciupio immotivato.
Il porcus troianus descritto da Macrobio si lega strettamente alla storia di Rimini. Nel 1813 Luigi Nardi, un erudito sacerdote savignanese che sarà anche bibliotecario della Gambalunghiana di Rimini scrive, per i tipi dell’editore Albertini, un’operetta intitolata proprio “Porcus Troianus”. In questa, realizzata per festeggiare il matrimonio tra Carlo Ridolfi, veronese e nipote del vescovo di Rimini e Rosa Spina della nobile casata riminese, riporta la ricetta di Macrobio “… Farcitura del maiale, composta da volatili, cacciagione e carni varie, che una volta in tavola mostrava il suo interno”, dando così alla porchetta romagnola patente di nobiltà in quanto unica discendente delle ricette dell’antica Roma.
Dopo tanto parlare di cibo dal punto di vista storico, passiamo al pratico e dedichiamoci alle ricette del maiale e del coniglio in porchetta.
Maiale in porchetta – ricetta casalinga per due persone
Ingredienti
Porchetta da latte 8-10 kg; Finocchio 70 g; Rosmarino due rametti; Vino bianco un bicchiere; Olio d’oliva extravergine due decilitri; Aglio cinque spicchi; Noce moscata q.b.; Sale q.b.; Pepe q.b.
Preparazione
Pulite la porchetta, disossatela e svuotatela eliminando l’eccesso di grasso eventualmente presente. Tritate finemente e insieme il finocchio selvatico, l’aglio e gli aghi di rosmarino. Salate, pepate e unite la noce moscata e due cucchiai di vino bianco, quindi mescolate. Riempite con l’impasto preparato l’interno della porchetta, poi richiudetela e legatela per evitare possa aprirsi, ungetela con l’olio extravergine di oliva e fatela cuocere in forno preriscaldato a 150 gradi per circa due ore e mezza. Bagnatela spesso con il vino rimasto e quando la cotenna sarà diventata croccante, coprite la porchetta con un foglio di carta vegetale. Sistemate la porchetta su un tagliere di legno, liberatela dallo spiedo. Potete servirla sia calda che fredda.
Coniglio in porchetta – ricetta per sei persone
Ingredienti
Un chilo e mezzo di coniglio spellato; tre pezzi di salsiccia; tre spicchi di aglio; 5/6 rametti di finocchio selvatico; una fetta di pancetta stesa; sale; pepe; mezzo bicchiere di olio extra vergine d’oliva; vino bianco secco q.b.
Preparazione
Pulite il coniglio togliendo la testa e le interiora ma lasciando il fegato. Lavatelo, asciugatelo e apritelo bene. Strofinate l’interno con 20 grammi di sale fino misto a pepe nero. Aggiungete la salsiccia, l’aglio tritato grossolanamente e la pancetta distribuendo il tutto per la lunghezza del coniglio. Chiudete e legate incorporando all’esterno il finocchio selvatico. Salate e pepate. Lasciate riposare per qualche ora. Dorate il coniglio in padella con l’olio di oliva e sfumate con il vino bianco. Cuocete nel forno caldo a 200 gradi per mezz’ora e finite di cuocerlo a 150 gradi per un’ora e mezza. Se è troppo asciutto, bagnatelo con del vino e del brodo. Servitelo accompagnato da patate arrosto ed erbette saltate.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.