Oggi tutti riconosciamo una certa importanza sociale al vino. Se bevuto con criterio, in compagnia di buoni amici o in famiglia, è certamente un elemento di aggregazione. Purché non si esageri nella quantità e non si scada nella qualità perché allora diventa un problema. Esattamente come per tante altre cose che la vita ci offre, sta a ognuno di noi trovare l’equilibrio nel consumarle.
I lettori di questo blog hanno imparato a conoscere due aziende nostre fornitrici (Tenuta Carbognano e Cantina Fiammetta), le quali producono ottimi vini del territorio. In quest’articolo non tratteremo però di raccolta, vinificazione e imbottigliamento. Scriveremo, invece, della storia del vino e forse capiremo, alla fine, perché quando si parla di vino, si parla anche di storia dell’Uomo.
Cominciamo col dire che la vite, la Vitis Vinifera, nella sua forma selvatica (Vitis Vinifera Sylvestris), esiste da molto prima che l’uomo (inteso per come l’intendiamo noi), apparisse sulla Terra. Alcuni fossili hanno conservato delle foglie che è stato possibile datare a 2,58 milioni di anni fa (l’uomo di Neanderthal compare 200mila anni or sono). Piuttosto diffusa in tutto il mondo, quest’antica vite che si sviluppava verso l’alto (non dovete immaginarla disposta come in un vigneto ma come alberi selvatici lungo i corsi dei fiumi), subì un arretramento che ne minacciò l’estinzione a causa delle glaciazioni tipiche di quell’Epoca (il Pleistocene). La “nonna” della nostra vite fu però fortunata: trovò rifugio nelle zone del Caucaso tra il Mar Caspio, il Mar Nero e gli altopiani degli attuali Iran e Turchia e da lì, dopo il periodo glaciale, ricominciò a espandersi di nuovo su tutto il globo.
Gli storici sono concordi nell’affermare che gli uomini primitivi raccogliessero grappoli d’uva nati spontaneamente dalle piante apprezzando il gusto zuccherino dei chicchi. Ma da lì, a cominciare a parlare di vinificazione, seppur primordiale, ce ne passa. La prima svolta avviene verso il novemila avanti Cristo quando molte tribù da nomadi diventano stanziali e iniziano a curare l’agricoltura e non solo la caccia. A quel punto l’uomo inizia a pensare alla vite come a una pianta “utile” da tenere a portata di mano per sfamare i villaggi e inizia ad addomesticarla. E’ provato che duemila anni dopo, nel villaggio di Jahu, lungo il fiume Giallo in Cina, gli abitanti fossero già in grado di gustare una bevanda fermentata dalle uve di vite: un vino mescolato con miele e fiori.
Da allora in poi questo nettare diventa una bevanda comune per tutte le culture, le nazioni e le latitudini. E, naturalmente, iniziano a nascere storie: vere, verosimili e leggendarie. Cominciamo con il dire che la parola italiana “vino” viene dal latino “vinum” che traduce il greco οίνός il quale, a sua volta, ha origine dalla forma “wain” di origine anatolico/caucasica, cioè proprio dalla lingua del luogo dove la vite si era rifugiata per scampare alle glaciazioni… Alla luce di questa certezza linguistica, il testo biblico che racconta di come la prima vite nella storia dell’uomo fosse stata piantata alle pendici del monte Ararat (che si trova proprio lì, cioè fra Turchia, Armenia e Iran), dopo il diluvio universale, assume quasi una valenza storica. Del resto, le popolazioni mesopotamiche, grandi consumatrici di vino, scrivevano che questa bevanda veniva da un “monte di là dai confini”. E la mitologia greca racconta del dio Dioniso che, bambino, scopre la viticoltura. Anche lui la scopre su un monte, ma stavolta è l’Elicona, nella regione della Beozia.
In Italia la viticoltura si sviluppa grazie ai frequenti scambi commerciali con i Fenici e i Greci (che nell’Italia del Sud hanno numerose colonie). Con Roma e l’Impero diventa
una pratica agricola comune in tutta l’Europa occidentale e fino alla Britannia. Il vino in epoca romana non è ancora quello che beviamo noi oggi. Il principio della macerazione era sconosciuto alla maggioranza dei nostri antenati che però, ispirati dai celti, iniziarono a utilizzare le botti di legno per la conservazione (oltre alle anfore), e scoprirono il concetto di “invecchiamento”. Dagli scritti di diversi autori romani, fra questi anche Orazio e Plinio il Vecchio, leggiamo che i vini erano molto apprezzati dalla nobiltà e che esistevano già delle “etichette” più o meno prestigiose. Apprezzatissimo era il vino Falerno. Conosciutissimi l’Albano e il Caecubano. Nelle osterie e nelle bettole della suburra il vino, invece, poteva essere di pessima qualità e per questo veniva “speziato”, in modo da nasconderne il gusto.
Con la caduta dell’Impero romano, tocca alla Chiesa conservare le conoscenze di vinificazione accumulate nel corso dei secoli. Ai primordi del Medioevo un ruolo importante, in questo senso, lo gioca l’Abbazia di San Colombano a Bobbio, nel piacentino, che in quegli anni è un vero faro culturale per tutta Europa (la sua biblioteca conservava più di 700 codici nell’anno 982) e i cui monaci, andando in giro per l’Europa a fondare altri monasteri satellite, portavano a tutti le loro conoscenze, vinificazione compresa. Ed è proprio nel Medioevo che abbiamo un progresso nella qualità del vino; mentre quelli antichi erano spesso tagliati con acqua e resi più gradevoli con l’uso di erbe, miele e aromi, il vino nella forma in cui lo consumiamo ancor oggi appare precisamente in questo periodo. Dunque, è l’espansione della civiltà cristiana a essere all’origine dell’espansione della viticoltura in Europa. Del resto, il sacramento dell’Eucarestia si compie con pane e vino e dunque questa bevanda fermentata è importante per la liturgia e la vita stessa dei cristiani del tempo.
Il Rinascimento italiano è un periodo nel quale il vino della nostra penisola conquista i mercati di tutta Europa, in particolare il ricco mercato inglese. Ma è proprio in questo periodo storico che nascono grandi e importanti vigneti sia in Francia che in Spagna e l’Italia perde pian piano il suo primato, fino a essere surclassata dai francesi nei secoli seguenti. La rinascita italiana avviene a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Nascono le prime etichette DOC (Denominazione di Origine Controllata) e le tecniche di coltivazione e produzione migliorano notevolmente grazie ai vincoli imposti dai disciplinari di produzione. Oggi molti vini italiani ottengono successi straordinari in tutto il mondo e non è un risultato da poco visto che, come abbiamo raccontato, la vite, l’uva e il suo prodotto finale fanno parte della storia di tutta l’umanità fin dagli albori.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.