Dobbiamo al cantastorie bolognese Giulio Cesare Croce, forse il più grande degli autori popolari del XVI secolo, il volume più antico, divertente e colto dedicato al maiale. “L’eccellenza et il trionfo del porco” è un appassionato elogio a questo animale che ha sfamato intere generazioni di popolani e aristocratici. Il nostro cantastorie è più conosciuto per aver scritto le vicende di Bertoldo, il Bertoldino di cui anche Mario Monicelli ha tratto un film nel 1984.
“Oh Cotichin, null’altra a Te somiglia in fragranza,
e in sapor vivanda eletta!” Ce lo aspettavamo il maiale messo in poesia? Questo verso che magnifica il cotechino è tratto dal poema “Gli elogi del porco” composto nel 1761 dall’abate modenese Giovanni Ferrari.
All’apparenza del titolo si direbbe un opera canzonatoria da tavolata goliardica e invece si tratta di un poema dai toni un po’ bassi, ma dal contenuto serissimo che per sottotitolo suona così: “Ai saggi e dotti amadori della poetica novità”. La poesia è rivolta ai saggi e ai dotti e scusate se è poco, i frequentatori delle tavole imbandite vengono definiti tali. Dicevamo dal contenuto talmente serio da dare importanza di lettera maiuscola al Cotechino o alla Mortadella.
Il maiale che è sinonimo di sporco, di perverso o triviale, ma può trasformarsi in raffinatezza culinaria,. si esprime sempre con la sua doppia faccia, quella delle cose più nobili. Tutta la nostra esistenza è caratterizzata dalla dualità: caldo e freddo, luce e buio, odio e amore.
Ovviamente non è solo un vezzo del poeta o del cantastorie lodare il maiale, ma dimostra quanto fosse diffusa la cucina derivata dalle sue carni in Emilia e di quale antico prestigio fosse dotata. Che sia poi un abate a parlarcene significa quanto dobbiamo alla conservazione del sapere nei nostri monasteri. Fu addomesticato intorno al VII-VI millennio a.C., quando l’uomo divenne sedentario. Poiché il maiale non poteva transumare, è stato addomesticato dopo la pecora, il cane e la capra. Era l’allevamento per eccellenza dei popoli sedentari del bacino del Mediterraneo antico. Per tutto il Medioevo, il maiale era una presenza familiare tanto nei boschi, per secoli il luogo del pascolo per eccellenza dei suini, quanto nelle città, lasciato libero di razzolare, e chi lo possedeva era un uomo ricco.
In ogni regione italiana si conserva la tradizione di allevare il maiale, quasi un culto pagano, tanto che a Norcia si è coniato il termine di norcineria per indicare il locale destinato alla lavorazione e alla vendita della carne suina.
Una macelleria specializzata che solo il maiale può vantare; almeno nella sorte disgraziata di doversi sacrificare lo fa con solitaria dignità! Diventa chiaro che dietro tale specializzazione c’è il mestiere del norcino: un ruolo ad appannaggio di poche persone apprezzate e contese, dei veri professionisti ben pagati.
Ogni casa contadina ha allevato fino agli anni ’50 e ’60 del secolo scorso i maiali in modo artigianale. Solo a partire dal decennio successivo, con il depauperamento di quella civiltà e con l’abbandono delle terre, si è passati agli allevamenti industriali finalizzati alla mera ottica del profitto.
A questo voglio aggiungere che ancora oggi, nelle nostre campagne, c’è chi non si è lasciato convincere del tutto e molti contadini usano allevare il maiale e a macellarlo in maniera tradizionale. Potrebbe essere un segnale, un modo per tirarsi fuori dall’attuale bizzarria del mercato o più semplicemente continuare le tradizioni e affidarsi alle proprie capacità per ottenere dei derivati di qualità non paragonabili alla produzione industriale. Un salame di produzione artigianale lo si vede dalla prima occhiata, è impossibile confondere il budello naturale da quello plastificato ad uso nell’industria.
Fino a pochi decenni fa la dieta delle famiglie contadine era principalmente vegetariana e non per scelta. La poca carne, e di bassa qualità, presente sulla tavola contadina era consumata durante le ricorrenze natalizie o pasquali e poco altro. Per arrivare alla presenza della carne in tavola con una certa costanza bisognerà attendere il dopo guerra quando l’Italia vivrà il periodo del cosiddetto boom economico. Il maiale è stato per secoli la dispensa di molte famiglie, un sicuro approvvigionamento di cibo per l’inverno costituito da tutte le parti del maiale.
La storia contadina è legata alla famiglia mezzadrile, con la fine della mezzadria e dei padroni, i contadini iniziarono ad allevare autonomamente il maiale. Le famiglie benestanti del passato che avevano la possibilità economica di comprare un maialino, acquistato in genere nelle fiere, lo affidavano a un contadino che lo allevava nutrendolo con i propri avanzi. Molta attenzione veniva posta nell’alimentazione dell’animale che si allevava con ghiande, castagne e pastoni, cioè dei misti di crusca e foraggio. Quando era possibile lo si teneva allo stato semi brado e al pascolo. Lo stato di libertà dell’animale rende la sua muscolatura più tonica, un’azione che influisce sulla consistenza e sul pregio della carne. Nell’allevamento casalingo tali aspetti sono tuttora particolarmente curati. Chi non è contadino può sempre far parte di un piccolo consorzio di amici che acquistano un piccolo suino, lo lasciano allevare da una persona di fiducia secondo i crismi della tradizione rurale e si spartiscono poi i prodotti finiti. Per beneficiare in pieno del consorzio suino è obbligatorio ritrovarsi per la fattura delle carni e partecipare alla seguente abbuffata. Non è pensabile, ne ci potranno essere valide ragioni che giustifichino una eventuale assenza!
Nato a Misano Adriatico (RN) nel 1951, mi sono diplomato come perito chimico industriale nel ’70 e laureato in farmacia nel ’74.
Ho collaborato per 3 anni con le farmacie di Riccione, per essere poi assunto nel settore ospedaliero, settore analisi e trasfusioni di sangue.
Ad oggi, mi occupo di diagnostica per immagini nel settore veterinario.